Alieni sì, del terzo tipo no. Non solo almeno. Intendiamoci: gli invasori venuti dallo spazio, pelosi animali siberiani con denti laser e occhi blu fluorescenti, non mancano. I veri alien sono però altri. Abitano qui e altrove. Lontani e vicini. Attack the Block confonde le acque: gli extraterrestri sono pupazzi, i nostri non arrivano e gli alieni sono loro: i reietti dei quartieri-ghetto della metropoli. La digressione potrebbe continuare: che cosa rappresenta questo piccolo b-movie nel fastoso mondo della fantascienza se non un marziano? E che dire di E.T. Joe Cornish, ieri comico televisivo autarchico (lo conoscevano solo in Inghilterra) e oggi regista dall'appeal globale (lo vuole Hollywood)?
Tutto fa cult, ma il brodo ha una ricetta essenziale. Sfrutta il funzionamento del classico racconto sci-fi - struttura speculare (noi vs. loro), attribuzione dei ruoli (nemici ed eroi), figure e spazio (variazioni sul tema dell'altro e dell'altrove) – per farne ammenda, ribaltarlo e riconsegnarlo al nostro sguardo depurato. Ovvero deputato a vedere meglio, vedere ex novo. Cornish ricalibra continuamente il punto di vista. All'inizio spinge l'identificazione verso la piacevole infermiera (Jodie Whittaker) assalita e derubata nella notte da una banda di giovani teppisti. Quindi abbandona la donna al suo destino e duplica la scena mutandone i valori in campo: i cattivi di prima diventano il bersaglio di un branco di mostri famelici piovuti dall'alto, che dovranno fronteggiare equipaggiati alla meglio (mortaretti compresi), soli (la polizia guai a chiamarla, sta cercando proprio loro!) e male accompagnati (tra i loro aiutanti due bambini armati di pistole ad acqua). Infine, nel momento in cui riconosciamo nell'altro il vero eroe della vicenda – nomen omen è Moses (John Boyega), il leader nero della gang – costui viene portato via dalla polizia e ricacciato nell'antica condizione di marziano, corpo da espellere.
Tutte queste contorsioni del punto di vista – in cui non è tanto l'icona dell'alieno a essere ridiscussa quanto il nostro modo di valutare indipendentemente dagli orientamenti del racconto – non sono innocenti. Esse provocano una scissione – politicamente voluta – tra il nostro sguardo (favorevole all'assimilazione dell'altro) e quello dell'istituzione (per la quale l'alieno era e rimane l'emarginato sociale). E a riprova di quanto insurrezionalista sia questo cinema, ecco che il teatro dello scontro viene confinato in un brutto edificio alla periferia di Londra, labirintico e uguale, opalescente e acido. Potrebbe essere l'astronave di Alien, ma è di fatto solo spazio de-territorializzato, non assimilato, scarto. Non vengono forse percepiti così tutti i Bronx del pianeta dalla buona società?
Il cinema metropolitano anni '70 incontra lo sci-fi da panico e invasione, la critica sociale il trattato metapsichico sull'altro. Un terrain vague di metafore e rimandi al reale, illusioni e allusioni, convergenti verso il teorema della plasmabilità dell'occhio. Chi e che cosa orienta la formazione delle opinioni? Quanto incidono i simboli, il discorso pubblico, l'immagine del mondo costruita dai media nella percezione dei fenomeni e nella decisioni da prendere? Di quale realtà si può ancora parlare se la stessa è diventata racconto? Attack the Block fa del postmoderno un'opzione politica: studia a menadito le regole della narrazione mainstream applicandole al rovescio. Il suo universo è altrettanto plausibile e ugualmente falsificabile. Il mondo è un artificio retorico. Buoni e cattivi, oppressi e oppressori sono finzioni narrativi comode al Potere. L'altro è la pietra angolare di ogni racconto dominante. Con il paradosso che se la vita è l'irreale, l'alieno (in questo caso) è cinema.