Da cofondatore, insieme a Lars von Trier, del movimento cinematografico Dogma,  il regista danese  Thomas Vinterberg (Festen, Il sospetto) fa pieno centro pieno al Festival di Berlino con una profonda commedia sociologica ispirata all’omonima pièce tatrale autobiografica. Il soggetto impastato di malinconia e ironia è una rievocazione dei suoi ricordi d’infanzia in una comune dei primi anni settanta.

Thomas Vinterberg disegna nel suo nuovo Kollektivet (La comune), in concorso, un ritratto affilato della società di quegli anni, non solo danese!, tesa tra pulsioni comunitarie e individualismo nevrotico. A margine dell’applauditissima presentazione per la stampa il cineasta ha detto: "Quello che mi stava più a cuore mentre scrivevo e giravo questo film, era mostrare l’importanza del sorriso e dell’ironia. Una comune aveva molti punti deboli e ha creato non pochi problemi nella crescita emozionale della generazione successiva. Ma una cosa mi manca: la capacità di condividere il materiale e l’immateriale che allora, almeno, si è tentato. È quell’anelito, certo un ideale, di empatia che oggi mi manca. E non solo nel mio piccolo mondo danese".

Riguardo all’attuale crisi europea dei rifugiati, Vinterberg si esprime così: "Mi vergogno di essere danese, se penso a quello che sta succedendo, e al modo in cui il mio paese sta reagendo: isolandosi. Anche per questo dico col mio film: imparate a dare a chi ha più bisogno".  Della libertà sessuale che Vinterberg ha vissuto in famiglia, il regista felicemente sposato e padre di famiglia dice: "Non ho mai creduto alle relazioni aperte. Credo nell’apertura, nella misericordia verso il prossimo, ma non credo a una relazione, o un matrimonio, aperti ad altre persone".

Il film ha ricevuto finora l’applauso più convinto. È lecito, a due giorni dalla fine del festival, ipotizzare un Orso d’Oro per Vinterberg. Nel backstage della sezione Berlinale Young Talents, che il regista ha raggiunto in serata, Vinterberg ha risposto ad alcune domande. Oggi è un cineasta di fama ammirato in tutto il mondo. C’è qualcosa di cui ha ancora paura quando presenta un nuovo film? "La première di un film è sempre paralizzante. Ma un’effetto collaterale positivo dell’età è che impari ad ottimizzarti, a pensare strategicamente. È così che ho fatto mio un insegnamento di Ingmar Bergman: prima di iniziare un nuovo progetto pensa già a quello successivo".

Oggi Vinterberg è lo specialista dei ritratti familiari nel cinema europeo. Anche questa un’eredità di Bergman? "Credo che la struttura della famiglia possa essere, o diventare, molto claustrofobica. E credo abbia delle potenzialità distruttive. Cerco di dire questo nei miei film. Ma quello che dico è anche questo: la famiglia è il centro d’amore più importante e profondo che si possa avere nella vita. È anche il centro dell’energia vitale di ciascuno di noi. Quello su cui punto la telecamera nei miei lavori sono i suoi sistemi e strutture interne. Ma tutte sono una delcinazione dell’elemento fondante di ogni nucleo familiare: l’amore".