“Per me e Tarkovsky Bresson era la luce nel buio, la luce nell’arte. Non era solo un artista di enorme sensibilità, era ansioso di trasmettere qualcosa all’uomo: cercava di andare oltre il mondo fisico per cercare l’energia oscura, lo spirito. Questo riconoscimento mi incoraggia a percorrere le sue orme”.

Così il regista russo Andrei Konchalovsky, in Concorso a Venezia 73, riceve il Premio Robert Bresson della Fondazione Ente dello Spettacolo e della “Rivista del Cinematografo”, che in accordo con la Santa Sede viene assegnato durante la Mostra al regista che abbia dato una testimonianza significativa del difficile percorso di ricerca del significato spirituale dell’esistenza.

La cerimonia di premiazione del Bresson @ Luca Bove

Alla presenza del presidente FEdS don Davide Milani e del presidente della Biennale Paolo Baratta, il Premio è stato consegnato al Lido da Mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, che istituendo un significativo parallelo tra la visita di papa Francesco a Cuba l’anno scorso e il cinema di Konchalovsky guarda all’apparente anacronismo cubano e all’imperante liberismo americano e si chiede se “la persona deve solo piegarsi a una struttura oppure la persona stessa porta altri valori che rendono più umano ogni sistema?”. L’approdo è al “percorso ‘tra due mondi’” di Andrei, che dalla collaborazione con Tarkovsky, al periodo hollywoodiano e al ritorno in patria ha vergato con la macchina da presa “un cinema politico senza essere ideologico, etnografico senza risultare scientifico, intimo e sommesso ma declinato al plurale, dove ritorna la storia e il senso di ogni persona”.

Se Baratta esalta la lunga consuetudine tra la Mostra e Konchalovsky, Milani sottolinea come “il premio Bresson sia il momento apicale delle attività della Fondazione” e, dando le motivazioni del riconoscimento, segnala “un regista scomodo, dallo stile essenziale, lo scandaglio psichico, una visione positiva del cinema e l’ideale della giustizia”.

Accogliendo il Bresson, il regista russo si dice “molto onorato e felice”, sottolinea “l’importanza cruciale per il XXI secolo dell’incontro a Cuba tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill per non perdere i valori del bene, i valori morali nonostante le differenze ideologiche” e osserva: “Oggi si combatte per difendere le libertà personali, ma ancor prima ci sono i valori. Personalmente, oggi non sono più oppresso dall’imperativo del profitto nel fare il mio cinema, ma non mi sento libero: devo rimanere ancorato al valore morale”.

Infine, Konchalovsky riflette sull’arte: “L’arte non deve veicolare un messaggio, non ha uno scopo educativo, viceversa, deve trasportare l’amore per l’altro. E’ una missione difficile, ma da Sofocle a Tolstoj, da Dante a Shakespeare, gli artisti più grandi hanno amato l’essere umano”.