Da lunedì 4 marzo alle 21.25 su rai Uno, ecco la serie de Il nome della rosa: quattro capitoli per la regia di Giacomo Battiato, anche sceneggiatore con Andrea Porporati e Nigel Williams, nonché il protagonista John Turturro nel saio francescano di Guglielmo da Baskerville.

Dopo l’adattamento cinematografico di Jean-Jacques Annaud con Sean Connery del 1986, il romanzo celeberrimo di Umberto Eco arriva sul piccolo schermo, prodotto da 11 marzo e Palomar con Rai Fiction: nel cast, Rupert Everett è il domenicano Bernardo Gui, il giovanissimo tedesco Damian Hardung Adso, poi troviamo Michael Emerson (l’abate), Fabrizio Bentivoglio (Remigio da Varagine), Stefano Fresi (Salvatore), con Alessio Boni e Greta Scarano a incarnare l’eretico Dolcino e compagna e figlia.

 

Per Tinni Andreatta di Rai Fiction è “un progetto nato dal meglio della nostra cultura, dal libro italiano più importante del secolo scorso, venduto in 55 milioni di copie, e la dimensione seriale è estremamente adatta a coglierne la ricchezza. Ci sono tematiche attuali quale tolleranza, importanza della cultura, predominio della razionalità sulla paura”. Non solo, “la presenza della Rai ha fatto sì che Eco desse i diritti”, Il nome della rosa è stato “girato a Cinecittà, e tra citazioni iconografiche alte scava nei pregi e difetti dell’umanità. La fiction Rai è cresciuta insieme a un pubblico sempre più esigente”.

Matteo Levi di 11 marzo rivela come “BBC lo abbia comprato per il prime time, non succedeva da 30 anni”, mentre Carlo Degli Esposti di Palomar celebra il genio di Eco: “Era uno strano professore, insegnava cose che allargavano la testa, a differenza di tanti altri. Il successo di questo libro è stato fondamentale per il ragionamento in Italia e nel mondo”.

Viceversa, Battiato elogia il cast, perché “se un attore non è tanto bravo io divento pessimo, mentre qui la qualità della recitazione è altissima, il giovane tedesco Damian un miracolo e stupenda la schiera italiana”, Porporati confessa che “mi tocca il cuore che l’assassino uccida per evitare si riscopra l’arte del ridere contro l’assolutismo, d’altronde Eco era molto divertente”.

Venendo agli attori, Turturro si dice “molto colpito e commosso dalla grandiosità del progetto” e rivela di non aver “mai visto film con Sean Connery: lo amo, ma da piccolo avevo un pupazzo da James Bond col suo volto e pensavo non fosse utile per me vedere quel Nome della rosa”; Bentivoglio sostiene che “Remigio mi ha permesso di superare i miei limiti”, Fresi come “il mio monaco deforme che parla tutte le lingue mi ha permesso di toccare nuove corde”, mentre Herlitzka dichiara che “mi è piaciuto recitare in inglese, se riesco a dire una battuta mi sembra di essere bravissimo. Però non lo capisco, ho scambiato solo smorfie con John e gli altri” e la Scarano esalta “l’uguaglianza di genere, il rifiuto delle gerarchie, il rispetto del prossimo e della fratellanza dei dolciniani” che pur non contemplati a  fondo nel libro “Eco - ricorda Battiato – non voleva trattassimo male”.

Premura massima di Turturro è stato “inserire quanto più Eco possibile in sceneggiatura, illuminando filosofia, religione e scienza”, e del suo Guglielmo precisa: “Mi interessava il suo processo mentale, la conoscenza come protezione dal potere”.