"Mi sta chiedendo se ho tradito il testo di Shakespeare?". Michael Radford si spazientisce. E nel suo italiano un po' stentato aggiunge: "E' impossibile pensare a Il mercante di Venezia senza le battute di Shakespeare. Oltre trenta film sono stati tratti dalle sue opere: alcuni sono liberi adattamenti come West Side Story, altri sono fedeli come Romeo e Giulietta di Zeffirelli o l'Otello di Orson Welles. Io ho lavorato per sottrazione e contemporaneamente aggiunto qualcosa. I primi quindici minuti, per esempio, li ho inventati di sana pianta". Anni fa, dopo il flop di Misfatto bianco, Radford si è trasferito in Italia, ha scritto qualche sceneggiatura, diretto spot e conosciuto Massimo Troisi. Il frutto di quell'amicizia è stato Il postino: "Nel '94 inauguravo la Mostra del Cinema, sono felice di tornarci, penso molto a Massimo". Al Lido è accompagnato da Al Pacino, Jeremy Irons e Joseph Fiennes. Difficile, per chi ha letto la commedia, immaginare un cast più azzeccato. "Quando la produzione mi ha contattato, all'inizio ho detto di no. Di solito le trasposizioni cinematografiche delle opere scespiriane non mi soddisfano appieno, si portano dietro la matrice teatrale".
Quindi, che cosa è successo?
Ho posto una condizione: ci ripenso se troviamo l'attore giusto.

Al Pacino?
Sì, bisogna essere anche pragmatici, soprattutto se parliamo di un film tratto da Shakespeare. Per attirare la gente al cinema avevamo bisogno di una star, chi meglio di Al Pacino che è innamorato del teatro?

Lo stesso vale per Jeremy Irons che è Antonio, "Il mercante di Venezia". Un uomo buono e tormentato.
Si era pensato a Ian McKellen, che ha intepretato uno straordinario Riccardo III. Però aveva altri impegni, che di fatto gli impedivano di essere con noi. Ci siamo messi alla ricerca disperata di un altro attore e abbiamo trovato Jeremy Irons. E' bravissimo, non ho mai avuto dubbi sulla sua scelta.

Il mercante è stato girato a Venezia e anche in Lussemburgo, perché?
Ho ricostruito gli interni, quelli del processo e il ghetto.

Con uno dei monologhi più famosi dell'opera scespiriana, Shylock esprime tutto il dolore della sua razza: "ha occhi un ebreo? - dice Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, emozioni, passioni? Non si nutre dello stesso cibo, Non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie di un cristiano?". Lo ha lasciato intatto?
Sì, il monologo è ancora molto attuale. A ben vedere gli ebrei di allora sono i mussulmani di oggi. Due società che si scontrano senza capirsi. Shylock cerca di salvaguardare l'identità della sua razza, ha gli stessi problemi di un immigrato. Infatti impazzisce quando scopre che la figlia Gessica si è innamorata di Lorenzo, veneziano, bello e cristiano.

Come lo ammonisce Porzia, Shylock avrà più giustizia di quanta ne desidera. Dal processo esce doppiamente sconfitto: senza soldi e convertito. Non crede che oggi possa essere interpretato come un messaggio di intolleranza?
E' una commedia sugli esseri umani e il sottotesto è altrettanto evidente, almeno spero, della storia. Hanno tutti ragione, ognuno di loro ha pregi e difetti. Shylock non fa eccezione, ma si è spinto troppo in là, la vendetta gli ha ottenebrato i sensi. I veneziani dell'epoca non erano antisemiti, erano persone generose come Antonio. Che però odiava gli ebrei. Allora, era un uomo buono o cattivo?