22.000 ufficiali dell'esercito polacco eliminati nell'arco di pochi giorni e gettati nelle fosse comuni. Un'intera classe dirigente sterminata, per piegare un paese e soggiogarlo al dominio sovietico. Andrzey Wayda commuove e sciocca la Berlinale con la denuncia di uno dei massacri più taciuti e controversi della Seconda Guerra mondiale: l'esecuzione di massa avvenuta a Katyn nell'aprile del 1940, che dà il titolo al suo dramma fuori concorso, quest'anno anche in gara per l'Oscar al miglior film straniero. "Per molto tempo è stato impossibile scoprire la verità - racconta l'81enne regista, già Orso d'Oro alla carriera nel 2006 -. L'Unione Sovietica ha compiuto un insabbiamento sistematico e addossato ogni colpa alla Germania nazista per oltre mezzo secolo. Perché le autorità russe riconoscessero il loro coinvolgimento si è dovuto aspettare il crollo del comunismo. E' soltanto nel '92 che Yeltsin ha ammesso pubblicamente, come alle spalle di quel massacro ci fosse un preciso ordine di Stalin". Applauditissimo con grande commozione dai giornalisti in sala stampa, Wayda chiarisce subito il senso della sua operazione: "Quello di cui parlo è un tempo ormai lontanissimo, ma che deve essere ricordato e restituito alla memoria collettiva. E' una tragedia troppo grande, perché possa essere strumentalizzata a fini politici". Parla con sentimento e partecipazione il regista polacco. Oltre che da cineasta, il massacro di Katyn l'ha infatti toccato anche sul piano personale: "Quella a cui ho voluto dar voce è la prospettiva delle tantissime vittime e delle famiglie che a casa li aspettavano, senza sapere che fine avessero fatto. Un'esperienza che ho vissuto sulla pelle, perché mio padre era fra loro. Ricordo come mia madre, prima di morire, nel 1950 ancora non si rassegnasse al fatto che non sarebbe mai più tornato". Prima ancora che l'esperienza personale, a muoverlo nella lunga ricerca che ha preceduto Katyn è stata però la volontà di restituire dignità e memoria a ciascuna delle vittime di questa tragedia: "Non dobbiamo dimenticare che dietro alle cifre si nascondono 22.000 omicidi individuali. Ciascuno ha lasciato una sua memoria di documenti, che sgombrano il campo da qualsiasi dubbio". E' proprio scavando in questa imponente mole di memorie, oggi in gran parte conservate in Polonia, Gran Bretagna e negli archivi russi, che Wayda ha trovato il taglio da imporre al film: "L'idea risale a molto tempo fa. Non sapevo però come organizzare i materiali e che approccio adottare, per cui ho finito per posticipare sempre la realizzazione. Doveva essere un film personale? Politico? Doveva parlare ai giovani o piuttosto ai familiari delle vittime?". La risposta a questi interrogativi è nei 118 minuti, con cui Katyn spazia dal settembre del '39 al '45. Tutto inizia con l'invasione della Polonia da parte delle truppe naziste. La popolazione in fuga è spinta fra le braccia di quello che ancora non conosce come suo nuovo nemico. Ad accogliere civili e militari è infatti l'esercito dell'Unione Sovietica, che da poco ha siglato il celebre patto Ribbentrop-Molotov con la Germania hitleriana. Da qui il via alle deportazioni, che a partire dall'esercito, finiscono in appena due mesi per coinvolgere tutto il resto della nazione. L'intento appare fin dall'inizio quello di cancellare ogni traccia del coinvolgimento sovietico e privare il paese della sua classe dirigente. Ai rastrellamenti dei militari seguono quelli dei loro familiari. Mogli e figli degli ufficiali vengono spediti nei campi di lavoro e, di lì a poco, a seguirli sono professori universitari, medici e intellettuali. "Esperienze umane, tragedia storica, retroscena: mettere tutto in un film non era possibile. Ho così scelto di basarmi principalmente sui diari e le testimonianze scritte, lasciate da molte di queste vittime". Da qui l'estremo realismo e lo straordinario impatto emotivo delle vicende che prendono corpo sullo schermo. Storie di ufficiali e di soldati semplici, di madri e di figli, che a casa continuavano a sperare in un loro ritorno. "Questo film è soltanto l'inizio - conclude Wayda -. Quello di invitarlo a Berlino è stato uno straordinario gesto di pace, da cui molti dovrebbero ancora imparare. Guardare al passato è fondamentale per andare avanti e spero che tanti altri registi tornino in futuro a parlare del massacro di Katyn". Ottantunenne ancora pieno d'energia, Wayda lascia però il compito alle nuove leve. Dal canto suo esclude di tornare sull'argomento e dichiara invece di guardare già ad altro: "Sono un uomo anziano, ormai, e anche per questo vorrei dedicarmi a film più moderni. La Polonia di oggi una straordinaria fonte d'ispirazione: un paese che sta finalmente riconquistando la libertà ed evolvendosi molto rapidamente. Mi piacerebbe raccontare proprio questo intenso cambiamento che adesso attraversa la nostra società".