Ha esordito sul grande schermo a otto anni, Raffaella Carrà, in un melodrammone di Mario Bonnard, Tormento del passato, e si chiamava ancora col suo nome vero, Raffaella Pelloni, Poi nel 1960 si diplomò in recitazione al Centro Sperimentale e finì nelle produzioni più disparate, dai peplum (La furia dei barbari, Ulisse contro Ercole, Maciste nella terra dei ciclopi, Ponzio Pilato, Giulio Cesare) alle commediole (5 marines per 100 ragazze, I Don Giovanni della Costa Azzurra) passando per anomali coming of age (Il peccato degli anni verdi, l'interessante opera seconda di Leopoldo Trieste) al cinema resistenziale (lo splendido La lunga notte del '43 di Florestano Vancini).

Non è la prima cosa che viene in mente della nostra diva più libera e iconica, eppure tutto parte dal cinema. Dalla danza, certo, che studiò sin da giovanissima con l'ambizione di diventare coreografa. Ma fu il cinema a offrirle la prima possibilità di dialogare con quel pubblico che avrebbe poi incantato per oltre mezzo secolo.

Una carriera piuttosto breve, tutta in un decennio, con qualche occasione mancata (una su tutte: Marco Bellocchio l'avrebbe voluta ne I pugni in tasca, accanto a Gianni Morandi). "È che per fare il cinema, bisogna amarsi in due: forse il cinema non mi ha voluto, non mi ha amato fino in fondo, tanto da farmi insistere su quella strada" disse lei, senza troppi rimpianti. Ma l'influenza di Raffaella Carrà sul cinema riesce a trascendere il suo pur limitato impegno come attrice. E avviene grazie alle sue canzoni, entrate nelle colonne sonore di molti film. Riscopriamo, allora, il cinema di Raffaella Carrà in alcuni film attraversati dalla sua presenza.

I compagni di Mario Monicelli (1963)

Primo ruolo davvero importante: è la sorella del giovane operaio Omero che, nel finale, devastata dall'uccisione del fratello durante gli scontri con la polizia, si alza dà uno schiaffo a Marcello Mastroianni, il professor Sinigaglia, che lei ritiene moralmente responsabile di quella morte. Di lei Monicelli disse: "Aveva una grossa possibilità di fare l'attrice sul serio. Perché aveva temperamento e insieme una gran capacità di controllarlo. Una volta che l'ho incontrata le ho detto: 'hai fatto perdere al cinema italiano l'occasione di poter contare su un'attrice importante in più, rispetto a quelle che aveva, e che ha...'". E lei: "Era, resta, un film meraviglioso... Marcello Mastroianni? Non lo conoscevo: me lo presentarono sul set, la prima volta. Fu lui ad aiutarmi: 'Raffaella, dammi uno schiaffo vero, forte... Meglio un unico schiaffo, per un'unica sequenza, che decine di schiaffetti, ripetuti decine di volte'... Eseguii alla lettera, e gli mandai gli occhiali a tre metri di distanza.... Ero molto giovane, non sapevo niente di politica: girare quel film mi toccò nel profondo... Vengo da una famiglia operaia, e lavorare a una storia come quella dei Compagni mi ha restituito in qualche modo anche l'orgoglio delle mie radici... Non mi sono mai sentita così bella, e così elegante come con i vestiti di quel film..." (dichiarazioni tratte da Anna Maria Mori, Quei magnifici compagni, la Repubblica, 15 marzo 1994)

Il terrorista di Gianfranco De Bosio (1963)

Realizzata dalla cooperativa di Ermanno Olmi e Tullio Kezich, l'opera prima di Gianfranco De Bosio è una fosca e sorprendente rievocazione della Resistenza veneziana. Oggi lo chiameremmo indie, all'epoca questo esempio di cinema politico e resistenziale, in equilibrio tra lunghe discussioni e momenti di tensione, colpì per rigore ideologico e asciuttezza narrativa. Accanto a un giovane Gian Maria Volontè c'è anche lei, ventenne, Raffaella Carrà, che appare nel ruolo di Giuliana.

Il colonnello von Ryan di Mark Robson (1965)

Come finì, a ventuno anni, in questa superproduzione della 20h Century Fox da 5 milioni di dollari di budget, tra i maggiori successi commerciali (da attore) di Frank Sinatra? Lei sosteneva che la scelsero dopo la prova ne I compagni, in realtà pare che la notarono in Ciao Rudy!, faraonico musical di Garinei & Giovannini starring Mastroianni, all'epoca star mondiale. Unica donna del cast principale (era l'amante italiana del comandante tedesco fatto prigioniero dagli americani), folgorò il cinquantenne Sinatra e la major hollywoodiana che ne voleva fare una Audrey Hepburn italiana: la portarono a Hollywood, lei si annoiava, tornò in Italia e il resto è storia.

La Celestina P...R... di Carlo Lizzani (1965)

Mentre in televisione si ritaglia particine nell'epocale I grandi camaleonti, lo sceneggiato-kolossal di Edmo Fenoglio, e in Scaramouche, teleromanzo musicale con Domenico Modugno, il cinema non sa bene come collocarla. Sintomatica la partecipazione nella rentrée di Assia Noris, diva di regime che sognava il ritorno in pompa magna con questa trasposizione della commedia di Fernando de Rojas nell'Italia del boom economico. I riflettori sono tutti per la protagonista, feroce e maliarda, mentre le giovani leve imparano moine e trucchi del mestiere (ci sono anche Marilù Tolo, Bela Loncar, Daliah Lavi).

Il caso "Venere privata" di Yves Boisset (1970)

Prima del trionfo televisivo, qualche ultimo giro a vuoto sul grande schermo: è l'aliena Aura nella parodia sci-fi Il vostro superagente Flit con Raimondo Vianello (1966), la donna dell'anziano commendatore Nerio Bernardi nel francese Il Santo prende la mira (1966), una specie di calco di Michèle Mercier in Rose rosse per Angelica (1966), una moglie di Lando Buzzanca in Professione bigamo (1970). Ma la prova di culto è nell'adattamento del romanzo di Giorgio Scerbanenco: commessa di un grande magazzino e vittima designata, è protagonista di un prologo sadomaso in cui appare nuda e con i capelli corvini. Nel frattempo trionfa in televisione.

Barbara di Gino Landi (1980)

Già superstar, vola in Argentina con il coreografo Gino Landi per una commedia pensata per i mercati latini. L'operazione è squisitamente commerciale, la Carrà interpreta praticamente se stessa e il kitsch trionfa. Rimasto inedito in Italia, accostabile a certe commedie italiane con i beniamini del pubblico che "ripensano" se stessi (da Ci troviamo in galleria ai musicarelli), è però un oggetto fondamentale per capire incidenza popolare e rilevanza culturale: fa fuori una banda di teppisti a colpi di karate prima, prende in giro militari e poliziotti, mette al centro il suo diritto di decidere. Tutto questo nell'Argentina sotto dittatura del 1980.

Buongiorno, notte di Marco Bellocchio (2003)

La protagonista mancata de I pugni in tasca rientra nel cinema di Bellocchio in quanto icona televisiva. Durante gli anni di piombo, la Carrà ha avuto il compito di intrattenere un Paese impaurito e addolorato: sono gli anni delle hit internazionali, da Fiesta a Tanti auguri, e dei grandi show del sabato sera finalmente a colori. E che vedevano tutti, brigatisti compresi: nel covo di Aldo Moro, li troviamo seduti nel tinello domestico che è anche la prigione del popolo, guardando Ma che sera, in cui la Carrà canta e balla Tango. E un terrorista fischietta il motivetto con il pappagallo in gabbia. Un lampo straniante e potente.

Ballata dell'odio e dell'amore di Álex de la Iglesia (2010)

Amatissima dal pubblico spagnolo, che ha accompagnato verso la nuova libertà dopo il regime di Franco, la Carrà è stata anche lì un'icona: sacerdotessa dell'emancipazione, adorata dal mondo queer che l'ha eletta madrina mondiale, secondo Pedro Almodóvar "non è stata solo una donna, è stata uno stile di vita". E Luca, un pezzo della Carrà dedicato proprio alla delusione amorosa data da un ragazzo rivelatosi omosessuale, entra nella soundtrack del grottesco Ballata dell'odio e dell'amore di Álex de la Iglesia, esplosiva e simbolica allegoria della Spagna al tramonto del franchismo.

La grande bellezza di Paolo Sorrentino (2013)

L'imperituro successo delle hit della Carrà è testimoniato anche dai tanti remix firmati da dj e producers. Il più popolare è probabilmente quello di A far l'amore comincia tu, ribattezzato Far l'amore, piccolo colpo di genio di Bob Sinclair che porta all'esasperazione la sambetta scritta da Daniele Pace e Franco Bracardi. Ma il trionfo è dovuto a Paolo Sorrentino, che sceglie la canzone per la memorabile sequenza del party sfrenato che irrompe ne La grande bellezza dopo l'incipit "spirituale". Una galleria di mostri, un bestiario umano di facce devastate dalla chirurgia plastica e di sguardi allagati da troppi eccessi, reso ancor più efficace dal corredo musicale.

Fai bei sogni di Marco Bellocchio (2016)

Ancora Bellocchio, che evidentemente ne coglie più di altri lo statuto mitopoietico, l'aderenza nell'immaginario, l'inquietudine oltre la leggerezza. Stavolta, mentre ancheggia sulle note di Ma che musica maestro, sigla iniziale di Canzonissima 1970, con l'ombelico all'aria che destò ridicolo scalpore nei benpensanti, è lo specchio della tragedia di Massimo, che ha appena perso la madre: seduto sul divano insieme alla zia, cerca di avvicinarsi a lei, ma lei non se la sente a fargli da surrogato materno. Una scena devastante, acuita dalla marcetta. Gramellini, autore del memoir all'origine del film, rivelò che Raffaella lesse il libro e gli scrisse, commossa e toccata.

Ballo ballo di Nacho Álvarez (2020)

Il filmetto è una promessa mancata, una specie di Mamma mia! senza nerbo che però ci sembra importante per cogliere l'influenza della figura e del repertorio della Carrà nella società spagnola (lo testimonia il messaggio di cordoglio del premier Pedro Sanchez: "Ha ispirato diverse generazioni con felicità, coraggio e impegno. La sua musica allietato i nostri cuori, il suo spirito libero riempito le nostre anime"). Modello a cui tendere per rivendicare un posto nel mondo che non sia soggiogato al patriarcato, la Carrà attraversa il film senza che si senta mai la sua voce (tutte le canzoni sono ricantate dagli interpreti con arrangiamenti meno sontuosi) ma, nel finale, si concede in una divertita epifania che resta la sua ultima apparizione pubblica.