“E' il tema a scegliere come sarà il film, questo è un esercizio brechtiano, per vedere come è l'essere umano”. Così il regista tedesco Philip Groning presenta La moglie del poliziotto, in Concorso alla 70. Mostra di Venezia. Protagonisti il poliziotto Uwe (David Zimmerschied) e la moglie Christine (Alexandra Finder), che vivono in una cittadina di provincia con la figlia Clara (Pia e Chiara Kleemann): una vita modesta, fatta di piccole gioie, ma anche di un'escalation di violenza domestica che si misura attraverso i lividi blu di Christine…
“E' vero, c'è anche un aspetto documentaristico, ma abbiamo usato luci artificiali, scoperchiato la casa”, dice Groening, che definisce il film suddiviso in 59 capitoli e lungo 172 minuti “un mosaico di varie cose che si sviluppa lentamente, perché nessun spettatore perda la propria direzione”. C'è il rischio, ed è successo, che qualche spettatore se ne vada: “E' lecito – risponde il regista – ma il film mette insieme tante cose in modo insolito, ma valido, perché crea un'emozione più profonda”. In questo senso va intesa la partizione in capitoli, che si aprono e chiudono con altrettanti cartelli: “Il film così dà allo spettatore la libertà di distanziarsi per poi potersi immedesimare nel nuovo capitolo. L'ultima scena di violenza, per esempio, dura 12 minuti, è la situazione a determinare la lunghezza del capitolo. Non è un film che si vuole imporre, è lo spettatore a imporsi, e questi capitoli servono ad alimentare la sua capacità di giudizio”.
Il regista de Il grande silenzio (2004) parla anche della sua Christine: “Sì, forse è in uno stadio psichiatrico di depressione, ma non ricorre al medico, come succede in questi casi, quando sembra non ci sia una via d'uscita dal rapporto con il partner”. E, a quanti hanno inteso nel finale la morte della donna e della figlia, Groening ribatte: “C'è chi ha percepito questo epilogo, altri uno differente: quel che è affascinante di questa struttura è che le persone lasciano il cinema con cose diverse nella testa”.
Il protagonista maschile David Zimmerschied dice di “essere invecchiato di 5 anni nei tre mesi trascorsi sul set: Philip non molla mai, non scende a compromessi, non inganna il pubblico per motivi di tempo o soldi. Ed è severo, è stato un lavoro faticoso”. Sul lavoro con i bambini, l'attore aggiunge che è stato “intenso, mi hanno dato molto”, mentre il regista parla di “grande sfida, perché fanno quel che vogliono loro, non puoi chiedere di ripetere delle battute, ma devi creare la situazione per cui possano dirle”. Da ultimo, Groening rassicura sull'esposizione dei piccoli alle scene di violenza: “Non erano presenti, nemmeno nella stanza accanto: è il montaggio a creare l'illusione della loro reazione”.