“Non era mia intenzione ridicolizzare la religione. Al contrario, volevo disattendere le aspettative, ed essere provocatoria”. Parola di Jessica Chastain, che apre la sedicesima Festa del Cinema di Roma con The Eyes of Tammy Faye (“Gli occhi di Tammy Faye”) diretto da Michael Showalter.

Basato su una storia vera, il film narra la straordinaria ascesa, caduta e redenzione della telepredicatrice evangelica Tammy Faye Bakker, interpretata da Jessica Chastain. Fra gli anni settanta e ottanta, Tammy Faye e il marito Jim Bakker (Andrew Garfield) fondarono il più importante network televisivo religioso statunitense, complice il messaggio di amore, benevolenza e prosperità. Tammy Faye diventò una leggenda per le sue ciglia, il suo modo di cantare e il suo entusiasmo nell’accogliere persone di ogni estrazione sociale, ma l’impero era destinato a crollare tra irregolarità finanziarie, rivalità e scandali.

“Credo che Tammy avesse una forte fede, chiudendo gli occhi e pregando arrivava a Dio: penso fosse sincera nella sua fede. Era un’ossessione dover sentire Dio, per lei era amore”, dice la Chastain, che del personaggio predilige “la sua apertura, quella risata che non aveva confini ed era vicina al pianto: creava legami, una connessione con le persone, ed è bello nella vita. Non aveva limiti né confini”.

L’astensione è dal giudizio: “Non la giudico, proprio no. Ho provato amore e odio nell’interpretarla, era aperta, vulnerabile ed esposta, non è stato semplice interpretarla”. Analoga astensione predica Vincent D’Onofrio: “Sono cresciuto a New York e in Florida, il paese non era diviso come ora ma c’era sinistra, destar e liberal. Io sono cresciuto in una casa liberal, i nostri vicini erano repubblicani, guardavano gli evangelisti in TV, e come del cristianesimo ero consapevole dei televangelisti e della loro richiesta costante di soldi, ma non ho giudicato, perché amavo questi vicini. Come attore mi ha aiutato, è stato molto importante, anche se liberal e non credente poter entrare nella storia: il mio lavoro è appunto servire la storia”.

Non crede la Chastain, che Faye fosse femminista: “Piuttosto era infantile e naif riguardo ciò che potesse fare, no femminista, ma esigeva uguaglianza e giustizia nella società”.

E sulle analogie, almeno in termini di geometrie relazionali, tra la serie Scenes from a Marriage e The Eyes of Tammy Faye spiega: “Sono progetti diversi, e speculari. Scene da un matrimonio l’ho approcciato dall’interno, non ero consapevole di che cosa dovessi fare, ma mi sono sentita capita quale donna, poi ho pensato a come visualizzare il viaggio interiore. Viceversa, qui ho trovato una connessione con Tammy e ho creduto al suo amore incondizionato per tutti, ma ho iniziato dall’esterno, giacché lei era così larger than life. Questa è stata la chiave per capirla”.

Tammy Faye è morta nel 2007, per restituirla sul grande schermo Chastain ne ha contattato i figli: “Li ho chiamato i figli. Ero nervosa. Ma era importante parlarci. Sono bambini cresciuti senza privacy, in tv.  La figlia s’è vista cancellare il contratto discografico per lo scandalo dei genitori, il figlio Jim ha creato la sua chiesa, è un predicatore. Ma quel cognome Baker era per loro una cicatrice, un marchio. Ma la mia intenzione non era replicare il cinismo con il quale erano stati trattati. Volevo sfidare le aspettative, non prendere in giro la religione. Sì sono dovuti fidare piano piano di me e del film”.