Ex produttore esecutivo di Marrakech Express e di Ilaria Alpi Mohamed Asli è nato a Casablanca nel '57 e dopo il diploma di maturità si è trasferito in Italia. Per quattro anni ha lavorato come assistente operatore, poi dal 1980 ha incominciato la spola tra Marocco e Italia. Decisivo è in questo senso l'incontro con Mario Cotone, sul set del Marco Polo di Giuliano Montaldo, che lo ha convinto a occuparsi di produzione. "E' stato solo un percorso alternativo per arrivare alla regia. Dalla cosiddetta liberazione del Paese sono passati quasi 50 anni e non abbiamo formato uno sceneggiatore, un fonico o un direttore della fotografia", dice Asli che nel frattempo ha realizzato il suo primo film.

A Casablanca gli angeli non volano
è un titolo suggestivo e misterioso.
E' una metafora. A differenza degli angeli che da sempre immaginiamo, i miei non hanno le ali. Sono uomini comuni, in un certo senso. Il titolo si riferisce al disagio di vivere in Marocco, parla di gente che ha piccoli lavori, piccoli cose e piccoli sogni. E non riesce a portali a termine.

Come le è venuta l'idea?
Ero in macchina a Casablanca. Ho notato una donna che usciva da un bagno turco con i suoi figli, erano puliti e allegri. Dovevano attraversare una strada polverosa, piena di detriti. Mi sono fermato per farli passare, la macchina che era dietro di me non ha rallentato e li ha riempiti di sporcizia.

Lo racconta anche nel film. E' ancora così?
Purtroppo sì. Una delle storie, quella di Said e Aicha, è ispirata a un fatto di cronaca. Un uomo cercava di portare la moglie in ospedale, venivano da un villaggio sperduto e il primo ospedale distava circa 200 km. Erano in taxi, la donna è morta durante il tragitto e il tassista ha scaricato entrambi in mezzo alla strada: nessuno si è fermato per soccorrerli.

Perché?
La gente fugge, fa finta di non vedere. Ha paura dei poliziotti, pensa che ogni occasione sia buona per farsi spillare i soldi.

Eppure l'immagine più "esportata" è quella di un popolo allegro.-
La gioia è quello che è rimasto al nostro Paese. Ci vedete sorridenti perché dobbiamo vivere: "vinci la vita". Ma quello che sta succedendo è terribile: se non posso aiutare chi ha bisogno mi viene tolta la bellezza dell'essere uomo, la solidarietà.

Il suo perciò è un atto di denuncia?
Soprattutto. Per non realizzare un film troppo drammatico, ho scelto la via della denuncia poetica che pone domande e suggerisce risposte centrate sull'uomo. Mio unico interesse da sempre.

Come è stato accolto in patria?
I giornalisti marocchini dicono che A Casablanca gli angeli non volano rappresenta una rottura tra il cinema che si è fatto e quello che si farà. Non solo per la denuncia, anche per l'approccio. La mia formazione è italiana, neorealista e questo, che lo voglia o meno è forte dentro di me. Sono arrivato in Italia nel '75 quando c'erano ancora l'ombra del '68 e, sorpattutto, i sogni del dopoguerra.