“Sono figlio di allevatori e la fattoria dove si svolge il film è quella di mamma e papà, che ormai sono andati in pensione. Ho portato questa storia sul grande schermo per liberarmi dal senso di colpa: ho scelto un’altra strada, quella del cinema, e l’azienda di famiglia ormai non è più in attività”. Così il regista Hubert Charuel, al suo esordio dietro la macchina da presa, presenta Petit Paysan - Un eroe singolare, nelle sale italiane dal 22 marzo distribuito in quaranta copie da No. Mad Entertainment.

“Mi sono ispirato al periodo della Mucca Pazza, quando si uccidevano mandrie intere per evitare la diffusione della malattia. Mia madre era innamorata dei suoi animali, e una volta mi ha detto che, se fossero state abbattute, si sarebbe suicidata. Petit Paysan è nato in quel momento”. Il film racconta di un piccolo allevatore che gli amici chiamano “il principe delle vacche”. Si prende cura dei suoi bovini in modo maniacale e cerca di renderli anche felici con carezze e parole dolci. La situazione precipita quando uno di loro si ammala.

Swann Arlaud interpreta Pierre, il protagonista. “Swann non ha niente a che fare con la vita di campagna. È figlio di una direttrice di casting e di uno scenografo, quindi l’ho mandato a passare tre settimane nella fattoria di alcuni miei parenti. Ha fatto un lavoro grandioso, e alla fine non volevano più lasciarlo andare via. La sua è una recitazione di gesti e di sguardi, ma soprattutto di grande intesa con la natura”, aggiunge Charuel.

L’ispettore sanitario che vediamo in Petit Paysan - Un eroe singolare è la madre del regista. “Ho voluto che ci fosse anche lei perché questo è un dramma famigliare. Mio padre interpreta se stesso, mentre l’anziano signore che spesso viene a importunare Pierre è mio nonno. Una tradizione che prosegue da generazioni incontra l’arte”.

In questo thriller dal sapore rurale si affronta anche il tema degli indennizzi, degli aiuti che l’Unione Europea dovrebbe concedere agli agricoltori. “Esiste una politica comune, ma dovrebbe essere riformata. La situazione è complessa. Ci sono parecchie disuguaglianze e lo scenario non è incoraggiante per chi si avvicina per la prima volta al mestiere. In realtà gli allevatori non vogliono i soldi dell’Europa, ma sperano che le loro fatiche vengano valorizzate. Bisogna produrre di più diminuendo i costi: lo impone la nostra economia. Per chiunque sarebbe difficile andare avanti. Da una parte si aggrappano alla passione, e dall’altra hanno paura di fallire”.

Il film è stato accolto con entusiasmo dalla critica internazionale al Festival di Cannes, e ha vinto tre Premi César per: miglior opera prima, miglior attore protagonista e miglior attrice non protagonista. “Non è stato facile trovare un produttore. Abbiamo dovuto scrivere una sceneggiatura solida per avere i finanziamenti. È stata una grande soddisfazione, e adesso sto pensando a un documentario sugli allevatori che vanno in pensione, come mia madre. Forse è un progetto più adatto alla televisione. Per quanto riguarda il cinema ancora non so, ho bisogno di un periodo di pausa, una bella vacanza per riprendermi”.