"Uno strano film ibrido su Genova: il compromesso tra una piccola storia melodrammatica, quella di Enzo e Mary, che inquadro con lo sguardo sul presente di un forestiero, e una grande storia, quella della nostalgia per il ‘900, raccontata dalle immagini dei cineamatori dell'epoca". Primo italiano in competizione al Festival di Torino, è La bocca del lupo di Pietro Marcello, che dopo l'acclamato e "ferroviario" Il passaggio della linea ci porta a Genova, riscoperta attraverso i due protagonisti, Enzo (Vincenzo Motta) e Mary (Monaco), e rari filmati d'archivio.
Prodotto dai gesuiti della Fondazione San Marcellino insieme alla Indigo di Francesca Cima e Nicola Giuliano e L'Avventurosa Film di Marcello e Dario Zonta, il documentario inquadra con stile ed empatia "un tessuto sociale che non c'è più: negli anni '50 i vicoli di Genova erano vissuti dai camalli, poi sono subentrati i meridionali, come lo stesso Enzo, oggi gli immigrati. Analogamente a Napoli e Marsiglia, quella Genova non esiste più. Anche per questo non c'è Fabrizio De Andrè, e non ci sono le sue canzoni: la sua memoria è impressa nelle pietre di Sottoripa", dice Marcello, che è stato chiamato dai gesuiti a fare un film non sull'attività assistenziale della Fondazione, ma sui senza tetto, gli emarginati e gli indigenti di Genova. Un microcosmo cui appartengono Enzo, che ha buttato via anni e anni di vita in carcere, e la sua Mary: sin dal loro primo incontro dietro le sbarre, si sono voluti e aspettati, nell'attesa di coronare un sogno condiviso: una casetta in campagna, sopra la città. "Un grande storia d'amore, quell'amore che nasce dalla diversità", conclude Marcello.