Uno che ama il silenzio. Così si definisce Massimiliano Varrese, giovane co-protagonista di Fuoco su di me, film diretto da Lamberto Lambertini e interpretato anche da Omar Sharif, in uscita nelle sale italiane il 31 marzo distribuito dall'Istituto Luce. Ambientato a Napoli nel 1815, racconta la storia di Eugenio, che torna a casa per curarsi una grave ferita riportata in battaglia, dopo molti anni trascorsi in Francia. Sono gli ultimi mesi del regno di Gioacchino Murat e il sogno di un'Italia unita e indipendente infiamma il popolo napoletano. "E' la storia di una continua ricerca di sé - racconta l'attore -. Una volta a casa Eugenio, il mio personaggio, vive una crisi di identità perché si trova di fronte ad un bivio: sente che c'è qualcosa di superiore. Il nonno, che è Omar Sharif, lo sprona a cercare: l'amore, la scrittura. Cosa lo capirà lui stesso nella scena finale".

Cosa condividi con il tuo personaggio?

Io gli assomiglio parecchio, sono in continua ricerca, avverto che qualcosa mi guida, ma fin da piccolo: chiamiamoli angeli custodi o spirito. Pensando al mondo dello spettacolo in cui vivo e che spesso è fatto di apparenza, mi fermo, rifletto: faccio questo lavoro perché lo amo, da sempre, non per quello che potrei diventare. Penso che tutto ciò che ci circonda, il nostro stesso cammino, faccia parte di un percorso, di un compito: io col mio lavoro ho quello di comunicare.

Fuoco su di me è il tuo secondo film dopo Velocità massima...
Lavorare con Lambertini mi ha riportato all'atmosfera del cinema, rilassata, silenziosa, altra cosa rispetto alle fiction dove sei come un cavallo da corsa: devi dare il massimo in due o tre ciak. Ne ho fatta un po' di esperienza: da Il bello delle donne a Operazione Odissea, da Grandi domani a Carabinieri. Per me fare l'attore non è un lavoro, ma una possibilità di esprimermi che esige sacrificio, pazienza, costanza.

Come vedi il cinema italiano?
Le fiction stanno prendendo sempre più piede: gli sponsor pagano e la gente le guarda. Credo che ci lamentiamo troppo sui malanni del nostro cinema guardandoci sempre indietro. Studiamo i maestri, leggiamoli, impariamo ma adesso elaboriamo a modo nostro, lavoriamo. Certo, se non si investe, nemmeno si guadagna. Bisognerebbe offrire uno spazio maggiore ai giovani. Sharif mi ha regalato un marea di segreti sul set, come se volesse dirmi: "Tieni, adesso tocca a te". Alla fine gli ho donato una chiave d'oro. Un simbolo. Per lui, perché doveva girare San Pietro e per me, perchè mi ha aperto un mondo nuovo.