“Sembra un film coraggioso, ma ho avuto molta paura. All’inizio, nelle prime entrate in grotta: quando poi ho visto che si andava avanti, ho capito di aver ragione, che il film si poteva fare. È stato anche un confronto con me stesso: l’altezza, la verticalità è stata sempre una fobia per me”. A undici anni di distanza dall’opera seconda Le quattro volte, Michelangelo Frammartino torna dietro la macchina da presa con Il buco, in Concorso a Venezia 78.

Durante il boom economico degli anni '60, dove a Milano si costruisce col Pirellone l'edificio più alto d'Europa, all’altra estremità del paese nell'agosto del 1961 un gruppo di giovani speleologi piemontesi visita l’altopiano calabrese e scopre con i suoi 700 metri di profondità una delle grotte più profonde del mondo, l’Abisso del Bifurto dell’altopiano del Pollino, sotto lo sguardo di un vecchio pastore.

A Venezia per accompagnare il film che ci sono Leonardo Zaccaro e tutti gli speleologi che hanno partecipato, il regista Michelangelo Frammartino, la sceneggiatrice Giovanna Giuliani, il direttore della fotografia Renato Berta, la troupe, nonché i veterani Giulio Gècchele e Beppe De Matteis che fecero l'impresa nel 1961: tutti calcheranno il tappeto rosso con gli abiti speleo originali.

Dice la co-autrice Giuliani, “abbiamo cercato giovani che avessero riluttanza alla visibilità come era all'epoca, ovvero non solo visi anni ‘60 ma attitudine. Alla fine abbiamo scelto speleologi veri, capaci di distogliere lo sguardo in grotta”, mentre l’84enne Gècchele riflette tra ieri e oggi: “La speleologia è cambiata completamente dal punto di vista tecnico, ma non dal punto di vista filosofico. È un’attività che si fa insieme, ciascuno è custode del suo compagno, disponibile a mettere a rischio la propria via per l’altro. Si fa per andare in luoghi dove mai nessuno è andato, l’aspetto scientifico è preminente, e la fatica: speleologia è strisciare nel fango, sicché gli aspiranti adepti si riducono assai”. Aggiunge il 41enne Zaccaro: “La speleologia è l’unica attività rimasta per l’esplorazione geografica, ha un aspetto romantico di fine ‘800”.

Il buco di Michelangelo Frammartino

“Nessun dialogo, nessun attore, nessuna musica, a ‘sto punto, mi son detto, levo pure le luci… la ricostruzione mi faceva paura, per fortuna una finzione che sfugge a realtà a mio avviso non c'è”, osserva Frammartino, al Lido col il bastone appartenuto al pastore Nicola Lanza, mancato il 4 giugno scorso: “Tra pastori e speleologi c’è amicizia perché nessuno conosce il territorio come un pastore”.

Sul ritorno cinematografico alla sua terra, aggiunge: “Territorio ancora inesplorato, la Calabria ha una dimensione informe, contraddittoria, che è poi quella della cultura italiana stessa”. Ha anche un’indicazione culturale e politica, Frammartino: “Dobbiamo guardare al Mediterraneo, guardare più a sud, viceversa, si tende a guardare a nord. Sì, dovremmo guardare a sud, sopra tutto in termini culturali”.

Felice dell’inserimento in Concorso, sebbene “la gara tra film mette in imbarazzo, non pensavamo al concorso, il direttore Alberto Barbera ci ha sorpreso”, il regista torna col suo “cinema carsico, che non interessa a nessuno” dopo una lunga assenza: “Un po' lentino lo sono io, in mezzo poi c’è stato un film non fatto nel 2015”.

Michelangelo, gli speleologi e la troupe sono scesi a girare fino a 400 metri, il regista con la Giuliani si era addirittura spinto fino a 700 metri di profondità: “Venti ore tra discesa e risalita, eravamo stravolti, con tanta paura: ero sicuro si rompesse la corda, che non saremmo usciti”. Eppure, conclude Gècchele, non tutta la paura vien per nuocere: “La paura ti fa fare azioni coraggiose, ma non temerarie: senza paura ti ammazzi”.

Il buco uscirà in sala con Lucky Red a inizio 2022.