“Bisogna amare il cinema per investirci tanti soldi quanti ne abbiamo investiti noi, come famiglia” dichiara Vittorio Cecchi Gori, e il documentario su di lui, anzi, sulla sua famiglia è proprio il racconto di questo. Di un rapporto non solo amoroso, ma familiare con il grande schermo. Cecchi Gori – Una famiglia italiana, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, è il dettagliato documentario di Marco Spagnoli e Simone Isola su Mario e Vittorio, sul loro accompagnarsi e avvicendarsi alla guida di un impero cinematografico.

Impero potrebbe sembrare parola troppo ardita, appena più di major (che altrettanto spesso ricorre), eppure gli eventi narrati testimoniano il contrario. Nell’ascesa e perfino nella caduta: “Avevo capito che il gruppo Cecchi Gori era diventato troppo grande” dice Vittorio, riguardo ai problemi finanziari e legali degli anni ’00, “ma non feci in tempo a proteggerlo”.

Ma prima di quella discesa, di quello sgretolamento assolutamente imperiale, c’è tanto, tantissimo. In primis, l’amore per il cinema del padre Mario: “Un produttore deve essere colto ma non troppo” insegnava, “altrimenti perde il contatto con ciò che piace al pubblico”. L’acquisto della Fiorentina, caldeggiato dal figlio Vittorio, “primo e più esigente tifoso” della viola. In medias res, il rapporto tra figlio e padre (“Con me”, dice il primo sul secondo, “si comportava da eterno”) e la triste scomparsa di quest’ultimo.

Il tutto, condito da una pioggia torrenziale di testimonianze. I Cecchi Gori erano una famiglia anche sul lavoro, perché stringevano con gli attori rapporti familiari. Lo dice Verdone: “Dopo Bianco Rosso e Verdone, nessuno credeva in me, tranne Vittorio Cecchi Gori. Mi chiese di fare il film che volevo, così nacque Borotalco”. Lo conferma Pieraccioni: “I film non si fanno con i soldi ma con l’energia. E I Cecchi Gori ne mettevano sempre tantissima”.

Al coro si uniscono Tornatore (con cui, quasi quasi, ci scappava un film di Cent’anni di solitudine), Benigni, i tecnici sportivi Claudio Ranieri, Roberto Mancini e tanti altri. Con tutta probabilità, lo direbbe anche Troisi, altro assente doloroso ma affettuosamente rievocato.