"Un buon documentario riprende il mondo esterno per svelare quello nascosto". 45 anni dopo You and me, Herz Frank tiene fede alla sua poetica e alla nomea di cineasta dell'invisibile. Il fondatore della scuola poetica di Riga (autore di capolavori quali Ten Minutes Older e 235.000.000) è il grande protagonista del 49mo Festival dei Popoli, presente sia nella "Diagonale baltica" - la rassegna dedicata alla grande tradizione del documentario di Lettonia, Estonia e Lituania - che nel concorso, dove ha presentato oggi il suo Muzigais Meginajums (in italiano, "prove perpetue"), "un reportage sulla mia fede nel cinema, e nell'arte in generale". Una fede condivisa con Evgeny Arye, il regista teatrale che Frank racconta in dieci anni d'imprese e furori da palcoscenico, dal suo arrivo in Israele dalla lontana madre Russia fino alla trionfale turnè americana del 2004. Una decade di riprese, appunti, spostamenti continui e "100 e più ore di girato diventate poi i 100 minuti che ho portato qui a Firenze", racconta l'82nne regista lettone. Le "prove perpetue" filmate da Frank, sono quelle di un uomo il cui unico lavoro consiste "nel trasformare se stesso in opera d'arte". Armato di videocamera amatoriale, "che tanto il supporto non conta, fondamentale è l'occhio che lo guida", il regista del documentario filma quello teatrale per cogliere un rimando a se stesso, come uno specchio che rifletta sempre lo stesso artista, "trasfigurato nell'atto creativo che lo avvicinerà - in cuor suo lo spera - a Dio". Suggestivo incontro del massimo realismo possibile (documentario) e della manipolazione per antonomasia (teatro), Muzigais Meginajums è un omaggio stupito alla magia dell'arte e personalissimo memoriale di un maestro che "trent'anni dopo Ten Minutes Older si ostina a guardare il mondo come un bambino". Altre fatiche sono quelle raccontate con rigore dal francese Guillaume Bordier ne L'empreinte, che all'esordio porta in concorso a Firenze la vita quotidiana di alcuni panettieri di Herat, Afghanistan. Adulti e adolescenti ammassati in stanze afose e strette, impegnati nelle diverse fasi della lavorazione del pane, secondo ritmi e movimenti da catena di montaggio. Bordier lascia la guerra fuoricampo (ma la realtà esterna si "sente" mentre il quadro si spegne nel finale del film) per "fissare" - in lunghe e immobili sequenze - una danza meccanica di corpi, mani e braccia che impastano, tagliano, bagnano e infornano. Lasciando però emergere dalle crepe degli automatismi - si tratti di uno scambio di battute, un sorso di the o una sigaretta aspirata - un popolo vitale che ha ancora voglia di sorridere. Anche lui come Frank - in quello che sembra il fil rouge della kermesse fiorentina -capace di sottrarre l'anima dai fatti. L'essenziale non è invisibile ai loro occhi.