"Chi di noi, almeno una volta, non si è lasciato tentare da una scorciatoia? Dal conoscente che può farci ottenere un lavoro a quello che può toglierci una multa? Bisogna iniziare a liberarsi da questa mentalità a partire dalle piccole cose". La proposta è di Luca Argentero, ed è di sicuro meno ambiziosa ma forse più saggia dei propositi portati avanti da Max, Irma e Samuele (Argentero, Paola Cortellesi e Paolo Ruffini) che, stufi di attendere un'assunzione sempre procrastinata per fare spazio agli altri - i raccomandati - decidono di perseguitare coloro che hanno preso il loro posto. Fino a fondare un mini-collettivo e rischiare la galera.
Potrebbe trovare frotte di emulatori in patria la trovata del film di Giambattista Avellino, C'é chi dice no (come l'omonima canzone di Vasco, che è però assente dalla pellicola), da venerdì in 320 sale distribuito da Universal, che rinnova la collaborazione con Cattleya (produzione) sulla base di una formula che ha già dato i suoi frutti in passato: la conferma di Argentero come interprete più gettonato della nuova commedia italiana (e di Fabio Bonifacci come sceneggiatore: era stato già autore di Diverso da chi?), spunti d'attualità trattati con leggerezza, una colonna sonora alla moda e il côté medio-alto borghese. Ambientato a Firenze - "Rispetto a Roma è una città piccola, che offre molte meno alternative ai personaggi e gli dà quindi maggiori pressioni", motiva Avellino - C'è chi dice no è la storia di tre ex compagni di liceo - lei è medico, lui giornalista, l'altro professore di diritto, tutti e tre precari - che si ritrovano quindici anni dopo, unici della classe a non avere avuto successo professionale perché puntualmente scavalcati da quelli con i "giusti" agganci familiari. Decidono che è l'ora di reagire, all'inizio con una spietata attività di stalking, poi con maggiore consapevolezza politica che li porta a dar vita al movimento "I pirati del merito". Ma il sistema è destinate a rimanere com'è.
"Le raccomandazioni c'erano anche 50 anni fa - racconta Albertazzi, guest star del film nel ruolo del "barone" universitario che favorisce l'impresentabile genero - solo che oggi si sono moltiplicate perché è aumentato il numero di coloro che le possono dare. Prima c'erano due sottosegretari, oggi ne abbiamo sette". "Ma - aggiunge Albertazzi - non bisogna generalizzare: una cosa è segnalare chi ha talento, come ho fatto io una volta proponendo Alida Valli a Joseph Losey; un'altra è mettere tre imbecilli a fare i direttori dei teatri solo perché tuoi parenti". Rispetto al passato inoltre "c'è molta meno fiducia nel futuro, maggiore rassegnazione" - sostiene Marco Chimenz, uno dei produttori - e questo spiegherebbe perché le nuove commedie italiane, se pur a tematica sociale, non condividono la cattiveria e il cinismo senza ritorno di quelle alla Monicelli: "Inconsciamente abbiamo bisogno di redenzione", conferma Avellino. E nessun problema se questa passa dalla commedia: "Abbiamo una grande tradizione di commedie che hanno utilizzato la risata per farci riflettere - interviene Albertazzi - e del resto anche quella di Dante era commedia. Credo che questo sia un buon film, girato con leggerezza. Oltre che contro il nepotismo, si scaglia contro la burocrazia che soffoca il Paese".