“Non so se è spiritualità, ma è un effetto vicino alla meditazione: tornato a Roma mi volevo ammazzare”.

Alessandro Borghi ritrova Luca Marinelli, a distanza di sette anni da Non essere cattivo di Claudio Caligari, in Le otto montagne, che adatta il libro di Paolo Cognetti (Giulio Einaudi editore, Premio Strega 2017) per la regia di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.

Prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del gruppo Fremantle, scritto dagli stessi registi (il belga van Groeningen, classe 1977, ha in carnet Alabama Monroe e Beautiful Boy), è in competizione al 75. Festival di Cannes e arriverà nelle nostre sale entro fine anno con Vision Distribution.

L’incontro tra i protagonisti Pietro (adulto è Marinelli), i cui genitori sono incarnati da Filippo Timi e Elena Lietti, e Bruno (Borghi adulto), avviene a Grana, Valle d’Aosta, alle pendici del Monte Rosa: dopo aver stretto un’amicizia profonda, i due si perdono di vista, scontando entrambi rapporti difficili con i propri padri. Sapranno ritrovarsi?

“Ci siamo presi tempo per la storia, in montagna e poi casa, era un periodo strano, c’era una crisi profonda tra di noi (Vandermeersch, NdR), poi la pandemia ci ha intrappolato tra il desiderio e la fatica di stare insieme. L’adattamento l’abbiamo usato per navigare in quel periodo: un tempo che pensa al domani, abbiamo assorbito l’ispirazione di Paolo”, dice van Groeningen, e la compagna: “L’atmosfera cambia quando la terra incontra il cielo in montagna, il silenzio prevale, c’è facilità di meditazione”.

Borghi ha “imparato il dialetto due fasi, assimilazione del valdostano, poi il valtellinese: tante influenze di essere umani che ho messo nello zaino e mi sono portato nel film”, Marinelli plaude alla “possibilità di fare le cose, eravamo noi che costruivamo casa, a 2300 metri d’altezza”.

Poi Luca torna sul loro primo incontro chez Caligari: “Grande esperienza, legame, famiglia, banda, l’amicizia con Alessandro non l’abbiamo mai persa, ma nel lavoro non ci eravamo più incontrati, fino a oggi. Siamo un po’ più vintage, ma la nostra amicizia sul set ci ha avvantaggiato”. Ribatte Borghi: “Nulla è competizione con Luca, io già di mio competitivo non lo sono, qui abbiamo abbandonato disagio e ansia da prestazione”.

Paolo Cognetti parla di “percorso lunghissimo, tre anni, e grande gioia nel seguirlo. Io non dovevo fare nulla, solo cucinare, aprire bottiglie e fare feste. Tanti momenti indimenticabili, c’è nel film autenticità e verità dirompente per me”.

Conclude van Groeningen sul formato pressoché quadrato del film: “Siamo partiti pensando al Cinemascope, poi siamo arrivati sul posto, e dalle foto abbiamo capito che il 4:3 si adattava meglio. Non lo usavo dalla scuola cinema, lo odiavo, ma si adatta bene alla montagna che non puoi mai cogliere nella sua interezza”.