Per la sezione "Figli e Amanti" del Festival di Torino, Saverio Costanzo spiega i motivi che l'hanno indotto a scegliere il capolavoro di Luis Buñuel del 1962, L'angelo sterminatore. Ad intervistarlo Emanuela Martini, vice direttore del TFF, e Roberto Nepoti, critico cinematogarfico de La Repubblica. "Ho visto il film a 25 anni - dice Costanzo - dopo aver realizzato alcuni documentari incentrati sugli spazi chiusi. Mi è servito per capire cosa stessi facendo e cosa volevo fare". Emanuela Martini evidenzia come non sia difficile trovare un legame tra la filmografia di Costanzo e il tema de L'angelo sterminatore: "In effetti nei miei tre film è sempre presente l'elemento spaziale vissuto a volte come desiderio di emancipazione, di libertà, altre volte come costrizione del proprio stato", risponde il regista. Che spiega: "In Private il capofamiglia potrebbe abbandonare la casa, ma decide di non farlo. Nel mio secondo film, In memoria di me, un giovane decide di rinchiudersi in un convento per sfuggire al mondo che non riesce più a sopportare. Nell'ultimo, La solitudine dei numeri primi, lo spazio non è più un luogo fisico, ma è quello dell'anima ed assistiamo ad una mancanza d'emancipazione da se stessi".
Il critico Nepoti racconta un piccolo aneddoto legato al film: ”In origine la pellicola non doveva avere questo titolo, ma Buñuel lo prese in prestito da una pièce teatrale mai andata in scena. Lo utilizzò solo perché gli piaceva. Il che è sintomatico di come, a volte, si voglia trovare in film surreali come questo, significati e significanti che non esistono".
Saverio Costanzo conclude con una riflessione sull'attuale momento del cinema in Italia e all'estero: “Non oso immaginare come sarebbe stato accolto oggi un film come L'angelo sterminatore. Oggi che nessuno vuole storie misteriose, ma si pretende sempre chiarezza, fin dalle sceneggiature. Cosa doppiamente assurda, dal momento che neppure la vita offre sicurezze".