"Un film non può essere solamente una denuncia, un gesto politico. Un film deve essere umano, cogliere aspetti emotivi". Cedric Kahn (La noia, Roberto Succo) torna in Concorso al Festival di Roma a tre anni da Les regrets, stavolta per inquadrare "la deriva di chi, perseguendo l'ideale proposto dalla cultura occidentale, finisce nell'inferno dei debiti, della povertà e viene sfruttato da un sistema senza scrupoli". E' Une vie meilleure (Una vita migliore), apprezzato ieri sera dalla stampa, oggi in gara al Festival, interpretato da Guillaume Canet, Leila Bekhti e il giovanissimo Slimane Khettabi. "Accarezzavo l'idea di questo film da molto tempo - dice ancora Cedric Kahn, anche autore dello script insieme a Catherine Paille - e non nascondo che la storia si avvicina molto alla mia coscienza, alle mie idee politiche. Ma non solo: quello che davvero volevo era continuare in un percorso cinematografico di apertura al mondo, raccontando una delle situazioni che mi sconvolge maggiormente, lo sfruttamento della miseria in tutte le sue forme".
Da poco insieme, Yann e Nadia (Caunet e Bekhti) decidono di acquistare un locale vicino al lago e trasformarlo in ristorante: sarà l'inizio della loro rovina, tra prestiti revolving, lavori infiniti e indebitamenti continui, vedranno sgretolare il loro sogno giorno dopo giorno e metteranno a rischio la loro unione. "Ma non era l'unica cosa che volevo raccontare, spiega il regista: sì, mi interessava mostrare quanto ci si possa approfittare della debolezza altrui, tanto a livello istituzionale (le banche) quanto nel mercato nero dei prestiti, ma la cosa davvero importante per me era seguire i personaggi nella decisione di abbandonare l'ambizione materiale per ritrovarne una che non passasse dalle cose, dal denaro". Percorso reso possibile dalla presenza del giovane Slimane, figlio che la libanese Nadia ha avuto giovanissima, nella seconda parte del film lasciato a Yann dopo che la donna tenta la strada di un nuovo lavoro in Canada: "Già sei o sette anni fa feci un film con un bambino ma rimasi insoddisfatto del metodo che adottai - spiega Kahn -. Stavolta ho preferito non spingere il ragazzo ad entrare nel personaggio, ma l'ho lasciato in un certo senso libero di muoversi, di vivere realmente le varie situazioni. Riprendere un bambino è il gesto cinematografico in assoluto, ma la sua libertà può diventare un grosso vincolo per gli altri attori e per i tecnici".
Rischio che però non sembra aver minato la prova degli altri interpreti, soprattutto di Guillaume Canet: "E' un attore molto apprezzato e conosciuto in Francia, che all'inizio trovavo un po' troppo middle-cass per la parte - dice sorridendo il regista -. Il suo talento però gli ha permesso di dimenticare e far dimenticare che stesse recitando, l'attore è scomparso dietro al personaggio, ha saputo sfruttare al massimo il contesto, è riuscito a pescare nelle proprie emozioni per mettersi allo stesso livello di libertà che aveva il piccolo Slimane".