Si ritiene siano i grandi nomi a portare prestigio ai festival garantendo sulla loro vitalità. Ci si dimentica che per diventare grandi quei nomi son dovuti passare dalla vetrina dei festival. L’appeal di Cannes dipende certo dalla fama dei suoi ospiti, ma se la manifestazione fosse solo un ritrovo di vecchi e osannati filmaker sarebbe senza futuro. Ecco perché nel cercare un delicato equilibro tra arte e mercato, Cannes non può sottovalutare l’attività di scouting, decisiva per misurare lo stato di salute nel lungo periodo.

In quest’ottica un riconoscimento come la Camera d’Or ha un significato più alto del valore che gli può essere riconosciuto all’interno del tradizionale palmarès. Sono 18 le opere prime che quest’anno si sfideranno, in calo rispetto alle 26 della scorsa edizione, ma con una presenza più forte nella selezione ufficiale: 7 solo in Un Certain Regard contro le 3 del 2015, quando in concorso c’era però un certo László Nemes e il suo Figlio di Saul . Quanti esordienti di quest’anno diventeranno autori domani? Difficile dirlo. Dall’anno della sua istituzione, 1981, la Camera d’Or ha lanciato nel panorama internazionale appena una decina di registi, tra cui Jarmusch, Panahi, Kawase e Porumboiu, ma è dal 2008, con la vittoria di Hunger di McQueen, che non riesce a scovare un fuoriclasse. Ci riprova puntando sul triangolo Europa, Medio ed Estremo Oriente, penalizzando di fatto la cinematografia emergente delle Americhe.

Tra i nomi caldeggiati senz’altro la francese Stéphanie Di Giusto che con La danseuse (UCR) porta sul grande schermo la vita di Loïe Fuller, stella dei cabaret parigini della Belle Époque grazie alla danza Serpentine. Interpretato da Soko, La danseuse è prodotto da Alain Attal per Les Productions du Trésor, la società dietro Mal de pierres di Nicole Garcia (in gara) e Pericle il Nero di Stefano Mordini (UCR). La tortue rouge (UCR) di Michael Dudok de Wit (Oscar per il corto Father and Daughter nel 2001) è invece la prima animazione realizzata dallo Studio Ghibli (con Wild Bunch) fuori dal Giappone. Quasi interamente muto, è la storia di un naufrago e del suo incredibile incontro con una tartaruga rossa.

Nel segno dell’animazione (in stop motion) anche l’esordio di Claude Barras con Ma vie de courgette (Quinzaine), scritto da Céline Sciamma (Tomboy, Diamante nero). Diversa la cifra di The Transfiguration di Michael O’Shea (UCR) vampire-movie newyorkese. È una forma di vampirismo anche speculare sul passato, come fanno molte delle opere proposte, dall’argentino La larga noche de Francisco Sanctis al finlandese Juho Kuosmanen passando dal rumeno Caini (tutti in UCR) Curioso, per chi dovrebbe guardare al futuro.