Si è aperto con un debutto, il film tedesco Systemsprenger della regista Nora Fingscheidt, il concorso del 69. Festival di Berlino. "Sono eccitata e felice allo stesso tempo, so di presentare un film non facile", ha detto la giovane regista.  Questo sabato è atteso l’altro film tedesco,  il già vincitore dell’Orso d’oro Fatih Akin (Contro il muro), che torna in competizione a Berlino dopo quindici anni con Il guanto d’oro.

Systemsprenger

Fingscheidt, che ha anche scritto la sceneggiatura, dice della sua pellicola: "Ho fatto questo film perché mi interessava raccontare una storia personale che fosse anche socialmente rilevante".

Il suo film racconta la storia di Benni, una bambina violenta che, a nove anni, ha alle spalle già una lunga catena di case famiglie e istituzioni di accoglienza. Benni (Helena Zengel ha elettrizzato la stampa), soffre di rabbia incontrollata. Una bambina piccola, bella e brutale. La sua violenza ha distrutto la sua famiglia e anche le altre dove è stata accolta. Una rete di assistenti sociali che funziona alla perfezione in Germania, ma che non riesce a compiere il miracolo. La piccola Zengel consegna un’interpretazione che va sotto la pelle.

“Ho sempre voluto fare un film su una bambina selvaggia”, dice Fingscheidt. "Sono troppo bravi i bambini che si vedono nei film, da molti anni".

Mentre faceva ricerche per un documentario su una casa per donne senzatetto, un assistente sociale le ha raccontato di una ragazza di 11 anni che si era trasferita nella casa famiglia modello di Amburgo, così violenta, che gli operatori le avevano dato il soprannome di  "sistema antincendio", diventato il titolo del film.

E altre famiglie che implodono dal di dentro, sotto il peso del silenzio e della vergogna trascinate dall’infanzia nella vita adulta, sono al centro dell’attesa pellicola del francese François Ozon Grâce à Dieu, uno dei favoriti.

I traumi che vengono a galla nella vita di questi personaggi adulti provengono dalle violenze subite da bambini da parte di un rispettato prete di Lione. La scelta del tema il veterano della Berlinale Ozon la spiega così: "Ho fatto molti film su personaggi femminili forti. Volevo fare un film su uomini che lottano per per arrivare a esprimere i loro sentimenti ed emozioni".

La storia del prete di Lione Ozon l’ha scoperta per caso. I fatti risalgono alla fine degli anni ottanta, ma sono diventati pubblici solo pochi anni fa. Il processo contro il responsabile di abusi su decine di bambini, e contro l’arcivescovo di Lione e altri cinque prelati è ancora in corso.

Ozon però stringe il racconto sul doloroso percorso privato che ha portato uno dopo l’altro i protagonisti ad elaborare il tabu, unirsi in un’associazione e lottare per mettere insieme un caso giudiziario.

Il coproduttore Eric Altmayer racconta a margine del festival delle difficoltà incontrate per il finanziamento  della pellicola. Problemi venuti dagli stessi partner che hanno sempre sostenuto i film di Ozon.

"A Lione siamo andati contro un muro", racconta Ozon. "Ma questa è una storia che non poteva nascere sotto censura. La verità, per tutti tragica e dolorosa, naturalmente in primo luogo per le vittime, non può conoscere, neanche al cinema, costrizioni". Un film forte,  semplicemente raccontato,  con il dono dell’equilibrio.