Da domani, giovedì 1 maggio, prende il via il Bellaria Film Festival, sin dalla nascita votato alla promozione del cinema italiano indipendente. A dirigere la manifestazione da quest'anno Simone Bruscia e Roberto Naccari, che hanno raccolto un'eredità importante al punto che il loro lavoro rappresenta anche una sfida stimolante. “Il festival ha una sua storia consolidata, proprio per questo abbiamo deciso di rispettarne le linee originali - spiega per entrambi Naccari. Oggi tutti parlano di documentario, ma quando il festival cominciò a occuparsene si prese dei bei rischi”.
Sembra passato molto tempo, ma non è così.
Il cambiamento di rotta è avvenuto nel 2006, voluto da Fabrizio Grosoli che allora era il direttore. La sua fu una scelta coraggiosa. Aveva intuito prima di altri che il cinema è mescolamento di linguaggi e che l'impegno di un festival deve essere quello di diffondere sguardi e visioni diverse. Ora, dopo il premio di Venezia a Sacro Gra e di Roma a Tir, la strada per tutti noi è diventata più semplice. Una spinta in più per continuare la ricerca e la valorizzazione di documentaristi italiani emergenti.
La sezione Italia Doc presenta solo undici titoli in concorso, ma quanti ne avete visti?
Moltissimi, più di duecento. Alla fine, in fase di definitiva selezione, ha prevalso la logica del privilegiare il prodotto più bello anziché quello inedito. Abbiamo deciso di offrire un panorama del meglio, una sorta di Champions League del documentario che rendesse conto delle molteplici tendenze e del grande fermento che pervade in questo momento la nostra produzione. Per questo i titoli sono molto diversi l'uno dall'altro, si va dal videopoema al mockumentary, dal film a carattere antropologico a quello d'inchiesta. Il puzzle è troppo ricco per poter essere racchiuso in un filone piuttosto che un altro. Il documentario è la punta di diamante del cinema italiano e negli ultimi anni ha raggiunto livelli qualitativi e tecnologici altissimi. Merito senza dubbio della rivoluzione digitale, ma resta da sottolineare il fatto che ad approfittarne in maniera più proficua non sia stata la fiction.
Eppure il premio alla carriera quest'anno va a un autore, Gianni Amelio, che sarebbe arduo definire documentarista.
Amelio è un grande maestro che dopo tanti anni ha scelto di tornare agli esordi, cioè al documentario. Il suo film (Felice chi è diverso, ndr) è molto importante e scava senza infingimenti all'interno di una delle più colpevoli rimozioni della coscienza collettiva italiana, non potevamo ignorarlo. Ma è anche la testimonianza che persino un autore consolidato nel cinema di finzione possa muoversi con altrettanta padronanza e maestria nel documentario. Non vorrei ribadire una realtà ormai assodata, ma le barriere tra i due generi non esistono veramente più. Il lavoro di Leonardo Di Costanzo e Alberto Fasulo, anche loro ospiti del festival, va nella stessa direzione. L'intervallo è un film di finzione ma è evidente il suo legame profondo con i documentario. Tir poi è inclassificabile, si serve degli stilemi del documentario pur utilizzando le dinamiche della finzione. Insomma, molta parte della produzione è sempre più difficile da etichettare.
Una delle sezioni presenta documentari dedicati allo sport, come mai questa scelta?
E' una delle novità che abbiamo apportato. Rientra nella logica di avvicinare il pubblico a un genere ritenuto difficile e quindi per pochi. Gli spettatori avranno invece modo di vedere film estremamente godibili e in alcuni casi elettrizzanti. Si comincia con Pantani. The Accidental Death of a Cyclist di James Erskine, una grande serata dedicata a un uomo della Romagna a dieci anni dalla scomparsa.
Nonostante i titoli stranieri, il festival è essenzialmente legato al cinema italiano.
La valorizzazione dei nostri giovani autori resta l'obiettivo primario del Bff, non disgiunto però dall'ambizione di creare un tessuto di proposte in grado di attrarre pubblici diversi. Il festival non è solo proiezioni di film, ci sono infatti spazi d'incontro, concerti, mostre. Sono porte d'accesso differenziate, convinti come siamo che una manifestazione aperta al futuro non possa e non debba più presentarsi come un blocco monolitico.