Argo, ovvero l'azione segreta per liberare sei cittadini Usa durante al crisi degli ostaggi in Iran del '79: accanto al ruolo poco noto della Cia, ce n'è un altro ancor più misconosciuto, quello di Hollywood, con un film, Argo appunto, orchestrato ad hoc per liberare i sei. Ora a parlarne è il grande schermo, grazie a un thriller basato su quei fatti realmente accaduti (desecretati da Bill Clinton), desunti dal saggio The Master of Disguise di Antonio Mendez e un articolo di Wired: ancora Argo, diretto, interpretato e prodotto da Ben Affleck e dall'8 novembre nelle nostre sale in 300 copie targate Warner Bros.
“Sono due le responsabilità - dice Affleck - per un film tratto da una storia vera: creare l'empatia tra personaggi e pubblico e attenersi alla Storia. Serve equilibrio, al massimo qui c'è qualche omissione, perché se ne sarebbe potuto fare una miniserie di 10 ore”. Ma, a maggior ragione considerando che la crisi degli ostaggi portò alla fine del presidente Carter e all'insediamento di Reagan, Argo è un film politico? “No, volevo semplicemente ritornare a quella situazione in Iran di 30 anni fa, e la voce in fuori campo di Carter è solo il miglior commento possibile”, precisa Affleck. Inoltre, “il cinema non salva il mondo o le persone, è una forma d'arte, garantisce la piena espressione di un individuo, e deve far commuovere”.
Parla di “amore per il cinema” e “omaggio a chi si sacrifica per il proprio Paese”, Ben, sottolineando: “Amo il mio Paese in modo molto pragmatico, e sono da sempre interessato ai legami umani, al di là dei confini nazionali”. Ma la politica ritorna: “L'Occidente ha chiuso un occhio su corruzione e repressione dei dittatori amici, e oggi è ovvio pensare a Mubarak, alla rivoluzione verde iraniana. E con un pizzico d'ironia, perché questi moti hanno cooptato molte caratteristiche della rivoluzione islamica, sebbene oggi il bersaglio sia proprio Ahmadinejad. D'altronde, per il film, che abbiamo girato in Turchia, non ho trovato nessun iraniano disposto a recitare per il timore di rappresaglie su di sé e la propria famiglia: non è fiction, in Iran c'è un regime stalinista”. Non solo, prosegue Affleck, “sono rimasto sorpreso e intristito per Bengasi (il recente attacco al consolato Usa in cui è rimasto ucciso anche l'ambasciatore Chris Stevens, NdR): Argo è appunto un omaggio a chi si sacrifica, ma è davvero triste vedere come la storia si ripeta, non ci siamo allontanati dagli eventi del film”.
Alla sua terza regia dopo Gone Baby Gone e The Town, Affleck confessa che “non è facile tornare dietro la macchina da presa”, mentre per un attore si tratta di “fare provini, e se sei fortunato cogli l'opportunità, come chi muore di fame e quando raggiunge una tavola imbandita prende tutto quel che può”. Tra i produttori figurano anche Grant Heslov e Clooney: “Con George ti senti protetto, è molto intelligente, vi consiglio di lavorare con lui”.
Viceversa, per bocca di Alan Arkin e John Goodman, che al fianco del Tony Mendez di Affleck, specialista CIA di esfiltrazioni, interpretano le altre due menti creative del progetto Argo (il film nel film), sentiamo parlare di Hollywood come terra di cialtroni, dove anche un macaco può fare il regista: “No, non è proprio così - scherza il regista-attore - e se dicessi altrimenti come potrei tornare a casa? Quelli di John e Alan sono personaggi iperbolici, eppure un fondo di verità c'è: Hollywood è come Washington, tutti spingono e sfruttano i vantaggi, è il prodotto della competizione, ma per fortuna ho anche dei buoni amici che non ti mentono ogni giorno. Comunque, presumo che qualche macaco giri davvero per Hollywood, magari lo sono anch'io”.