Presidente Andreotti, la posizione che assunse nei confronti del neorealismo creò non pochi contrasti.
Come scrissi in una lettera pubblica a De Sica il neorealismo era per me giustissimo, solo non ritenevo che l'Italia fosse composta unicamente da pensionati che muoiono di fame (Umberto D., NdR) o di ladri di biciclette. Nella lettera rilevavo come il nostro Paese avesse anche i don Bosco, gli Enrico Fermi e i Carlo Forlanini: perché il cinema non li prendeva in considerazione? In verità, non erano pochi i punti di contatto tra il film ideale di Pio XII e le opere neorealiste. Il problema era il limitarsi di questa corrente a solo alcuni settori della realtà italiana: probabilmente una famiglia normale costituiva un soggetto ostico per il cinema, ma vi erano dimensioni esistenziali estranee alla sinistra che meritavano una rappresentazione cinematografica.

Un punto di vista che pare riecheggiare quanto scriveva Pio XII sul film considerato in relazione allo Stato nel Discorso Il film in relazione all'oggetto e alla comunità (28 ottobre 1955): “Con l'efficacia che gli è propria, la sua [del cinema] azione può intervenire opportunamente per impedire correnti dissolvitrici, richiamare l'attenzione su quanto di buono sia caduto in desuetudine, far apprezzare quel che è stato falsamente valutato”.
Il cinema può effettivamente svolgere un utile servizio allo Stato. La mia posizione nei riguardi del Neorealismo rifletteva questa convinzione. La settima arte deve diffondere valori socialmente positivi. Avrei voluto che il cinema portasse sullo schermo figure eroiche quali Enrico Toti o i protagonisti del Risorgimento: non in chiave edificatoria, ma per celebrare un sano patriottismo. D'altra parte, il cinema meno nobilmente può essere utilizzato in chiave propagandistica: Ninotchka di Lubitsch stigmatizzava con ironia il comunismo e i comunisti.

Qual è per lei il film ideale?
Un film bello, con una storia che tenga desta l'attenzione e una tecnica fascinosa. Il soggetto è importante ma ancor più come viene tradotto sullo schermo. Recentemente mi è piaciuta la fiction-tv su Alcide De Gasperi (De Gasperi. L'uomo della speranza di Liliana Cavani, RaiUno, 25-26 aprile 2005, NdR) sia per la fedeltà alla realtà storica sia per l'impostazione drammaturgia, con il nonno che racconta al nipote. Con la vita dello statista democristiano si era confrontato anche Rossellini (Anno uno. Alcide De Gasperi, 1974, NdR) ma con esiti assai deludenti.  Io fuggii a metà proiezione, ancor più infastidito perché il regista aveva trascurato integralmente le modifiche e le integrazioni al racconto che mi aveva richiesto tempo addietro. In seguito Rossellini si scusò: il film era stato commissionato dalla segreteria della Democrazia Cristiana che aveva dato il placet a quella versione.

Quale è stato il suo approccio al cinema?
  
Ricordo di aver visto da piccolo una versione cinematografica di Dr. Jekyll e Mr. Hyde: mi aveva colpito moltissimo e ci ero tornato due volte. Vedevo molti film, terze visioni che costavano una lira. Andavo all'Olimpia a S. Lorenzo in Lucina: ogni spettacolo offriva Topolino, il film e il Giornale Luce rimpiazzato nel dopoguerra dalla Settimana Incom. Inizialmente spettatore della Incom finii poi per essere ripreso e ritrovarmi sullo schermo.
(Estratto da Federico Pontiggia, "Intervista al Sen. Giulio Andreotti", in Dario E. Viganò (a cura di), Pio XII e il cinema, Ente dello Spettacolo Editore, 2005)