"Sentivo la necessità di espandere il romanzo". E' per questo che Niccolò Ammaniti ha deciso di fare una serie televisiva, dal 23 aprile disponibile su Sky e Now, del suo Anna, il libro, edito da Einaudi, da lui scritto nel 2015.

Sei episodi che vedono protagonista una ragazzina (Anna per l'appunto) alle prese con un mondo afflitto dalla diffusione inarrestabile di un'epidemia causata da un virus.

Non è Covid, ma è la Rossa (una malattia dermatologica che si manifesta attraverso delle macchie). Il corto circuito tra realtà e finzione, comunque sia, è evidente e, per certi versi, è impressionante. Basta pensare che questa malattia uccide gli adulti, ma non i bambini (nei quali rimane latente). "Mi sono stupito anche io. L'avevo immaginata da biologo", dice Ammaniti, che poi racconta: "Dopo aver finito di scrivere Anna ho continuato a pensare a questa storia. Tanto che chiesi al mio editore se potevo scriverne una versione più lunga con più personaggi e più storie. Poi ho deciso di farne una serie e di dirigerla io".

Non è però la sua prima volta dietro la macchina da presa. Aveva già esordito alla regia infatti nel 2018 con la serie Il miracolo, da lui scritta e codiretta insieme a Lucio Pellegrini e Francesco Munzi. Di Anna (prodotta da Mario Gianani e Lorenzo Mieli con Lorenzo Gangarossa per Wildside), ne firma la sceneggiatura – con Francesca Manieri (Il Primo ReIl MiracoloWe Are Who We Are) – e la regia, questa volta da solo. Nel cast: l'esordiente Giulia Dragotto nel ruolo di Anna, e poi Alessandro Pecorella, Elena Lietti, Roberta Mattei, Clara Tramontano e Giovanni Mavilla.

"Sono molto affascinato dalla regia- racconta-. Mi piace la costruzione visiva e in questo momento ho bisogno di vedere le cose che immagino. Quando guardavo i film tratti dai miei romanzi avevo sempre una distanza da spettatore. A un certo punto volevo dirigere Io e te. Poi è arrivato l'interesse di Bernardo Bertolucci e io ovviamente ne fui super contento".

Niccolò Ammaniti e i giovani protagonisti sul set - Foto Greta De Lazzaris

In questa storia è voluto arrivare in fondo alla sua "ossessione per l'adolescenza": "In Io non ho paura raccontavo un mondo in cui esisteva una piccola società di bambini e gli adulti erano tutti degli orchi. In Io e te ho messo un bambino chiuso in una cantina, da solo, come in una sorta di mondo perfetto. Qui volevo vedere cosa avrebbero fatto dei bambini o dei ragazzini in un mondo senza adulti. Per realizzare questo ci voleva una catastrofe, ma non poteva essere un terremoto, che uccide grandi e piccoli indistintamente, né un meteorite. L'unica cosa che mi sembrava possibile, avendo studiato biologia, era un virus".

Certo è che, per quanto impensabile, dopo cinque mesi dall'inizio delle riprese è arrivato il Covid. Quanto ha influito la situazione reale nei tempi di scrittura della sceneggiatura e del set? "La gestazione della scrittura è stata molto lunga- spiega-. Ci avevamo iniziato a lavorare addirittura prima de Il Miracolo (2018). Poi siamo partiti per questo giro lunghissimo in Sicilia cercando di capire dove ambientarlo. Non era facile trovare e immaginarsi dei posti che poi sarebbero diventati un mondo post pandemia senza adulti, con una natura che si riprendeva gli spazi e con questi bambini-raccoglitori che si spostavano nei centri commerciali per svaligiarli. Insomma il lavoro di ricerca delle location è stato molto lungo, così come il casting, soprattutto per la ricerca dei ragazzi. Mentre giravamo a Palermo è arrivato il Covid. Non capivamo neanche la gravità della situazione, poi da un giorno all'altro abbiamo chiuso e siamo andati tutti in lockdown. A quel punto siamo rimasti in casa e ogni tanto ci vedevamo su zoom. In quel periodo ho avuto però l'opportunità di lavorare in remoto al montaggio". 

La speranza è il motore di questa storia e spesso viene sottolineata l'importanza della memoria: "E' la spinta propulsiva. Anna affronta tutto nella speranza che ci sia qualcos'altro. Nelle mie storie faccio fatica a dare una morale. Se c'è una morale forse è solo questa: non esiste futuro senza un passato. Il mondo che racconto, quello dei bambini, è un mondo che ha una memoria labile. Sono troppo piccoli per ricordare. L'unica che ha memoria è Anna".

Anna

Fondamentale in questo anche il libro che la mamma (Elena Lietti) le lascia in eredità prima di morire:  "Leggere è fondamentale e la mamma glielo rammenta. Dobbiamo ricordare cosa siamo stati ai nostri figli. Anna è questo: una tradizione che viene portata avanti. Un lascito attraverso questo quaderno".

Un messaggio di speranza, ma anche di regole: "Draghi ha detto giustamente che ognuno di noi deve seguire le regole e dare spazio a chi ha necessità prima di noi. Anna e il libro delle cose importanti può essere un esempio". E poi conclude con un suo ricordo: "Da bambino ogni giorno andavo a scuola e mi chiedevo perché dovevo andarci. Dipendevo da questa strana legge e mi domandavo se non si poteva cambiare e vivere liberi come gli animali. Immaginavo un mondo altro e questo è sempre stato alla base delle mie fantasie. Ero uno che si raccontava delle storie".