"Dirigere un festival è come fare cinema. L'ho scoperto grazie al lavoro di direttore del Torino Film Festival, un'esperienza esaltante cominciata con l'edizione 2009 che spero di portare avanti con crescente successo". Esordisce così Gianni Amelio aprendo la prima tra le molte lezioni di cinema in programma al Bari International Film & Tv Festival, orgoglioso per i risultati ottenuti dalla manifestazione che lo ha visto debuttare nelle insolite vesti di selezionatore non meno che del premio Fellini 8 ½ ricevuto dalle mani di Nichi Vendola. "Mi sono scoperto attento al successo dei film degli altri, una sensazione veramente piacevole. Sono il primo spettatore dei film che mostrerò e faccio in modo che parta da me quel passa parola fondamentale per creare attenzione intorno a un prodotto. Il cinema si fa in tanti modi e quello di far conoscere opere che lo meritano è un tassello fondamentale nella composizione del quadro finale".
Strappato al set di Il primo uomo, tratto dall'ultimo romanzo di Albert Camus, Amelio confessa volentieri la personale visione dell'arte della regia mostrando al meglio le doti di affabulatore e instancabile raccontatore di aneddoti legati ai cineasti incontrati nel corso di un lunghissima carriera. Solo un momento di pudore e fatica nel parlare del progetto che sta ultimando, una produzione lunga e difficile in piedi da due anni e che ancora si dibatte tra mille difficoltà. “Non è un film che ho scelto, mi è stato proposto da un produttore francese e l'ho subito accettato perché la storia racconta qualcosa di me. Come molti registi credo infatti che la chiave per impadronirsi di un'idea fin nella sua essenza sia sempre quella autobiografica. Se c'è un rimando anche molto nascosto a ciò che sono allora mi butto in un progetto, se manca non riesco a trovare le energie giuste. Il primo uomo è un film veramente faticoso, stiamo girando in condizioni difficili perché l'Algeria di oggi non è la stessa dell'epoca di Camus. Non ci sono più francesi o europei ma solo arabi e quindi, per fare un esempio, il problema di avere delle comparse dai caratteri occidentali è enorme. E mica abbiamo i soldi per farle arrivare dalla Francia, è una produzione a basso costo. Perché vado avanti? Effettivamente non lo so, ma non ce la faccio ad abbandonare il film. Forse a tenermi ancorato è quella parte di me racchiusa nel soggetto e che aspetta di essere portata alla luce. Spero proprio di finirlo".
Stimolato dalle domande di Marco Turco - suo ex aiuto passato alla regia di cui nelle prossime settimane Rai Uno trasmetterà la fiction C'era una volta la città dei matti - e da Enrico Magrelli, l'autore di Ladro di bambini parla del ruolo del regista paragonandolo a un ammiraglio pronto a caricarsi il peso di riportare sana e salva a terra la nave della produzione. L'immagine del combattente, del capitano che tiene compatta la ciurma, ricorre spesso durante l'incontro e la dice lunga sulla forza che secondo Amelio il mestiere richiede. Consigli utili per chi volesse lanciarsi nell'agone? Sul set, ancor più che nella vita, trasformarsi in palle assai elastiche: pronti a rimbalzare dopo ogni caduta. E soprattutto accettare come positive le sollecitazioni esterne e apparentemente fuorvianti che arrivano durante la lavorazione perché non è il rispetto del piano di produzione a essere importante, ma il tragitto talvolta accidentato che porta al momento delle riprese.