"In un momento come questo si sente sempre più l'esigenza di omaggiare un passato che era pieno di dignità, di poesia. Oggi, a dieci anni di distanza dalla sua morte (24 febbario 2003, ndr), credevamo fosse giusto e doveroso realizzare un'opera anche didattica su una straordinaria maschera come quella di Alberto Sordi, capace di segnare indelebilmente quei tempi: i giovani hanno bisogno di capire perché il nostro cinema è stato grande e questo documentario, senza chissà quali pretese, vuole raccontare la vita di un uomo serio, scapolo fino alla morte perché in realtà aveva sposato il lavoro". Così Carlo Verdone presenta Alberto il grande, documentario realizzato insieme al fratello Luca per rendere omaggio ad "un attore assolutamente rivoluzionario, all'inizio della sua carriera, tanto da scardinare le impostazioni da Accademia Teatrale canonica creando stupore e sbalordimento sia nel pubblico che nella critica. Sordi è stato una maschera ineguagliabile che conteneva tutte le fragilità, le miserie, i tic e i difetti dell'italiano medio. Non quindi una maschera regionale ma una maschera universale”.
Realizzato grazie al sostegno dell'Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, Alberto il grande - che stasera sarà proiettato in tre sale del Cinema Adriano di Roma alle ore 19.30 e alle ore 21.30 - ripercorre l'esistenza, i primi passi nella rivista e l'affermazione a livello nazionale e internazionale del grande attore, nato il 15 giugno 1920 in via San Cosimato a Trastevere, trasferitosi poi fino al 1958 in via delle Zoccolette per poi stabilirsi nella celebre villa a Piazzale Numa Pompilio, in via Druso, "dove parte la più misteriosa e sacra delle vie romane, l'Appia", come ricorda nel doc Carlo Verdone. Che si trasforma per l'occasione in una sorta di Cicerone e varca la soglia di casa Sordi, incontrando gli storici collaboratori dell'attore, per raccontarci anche il suo lato meno conosciuto, privato, domestico: "Dentro quella casa era una persona normale, disciplinata e a suo modo maniacale, abitudinaria e schiava dei rituali. Quando saliva quelle scale era un Sordi silenzioso, serio", ricorda ancora Verdone, che confessa: "Quando nel documentario c'è la scena in cui entro nel suo guardaroba mi sono commosso, ritrovarsi di fronte alle sue giacche mi ha rimesso davanti ai suoi colori, sempre gli stessi". Colori e bianco e nero, per tornare al Sordi de Lo sceicco bianco e dei Vitelloni, della Grande guerra e di Una vita difficile: "Personaggi indimenticabili, con i quali Sordi riusciva a intercettare e rappresentare il mutevole DNA degli italiani. Gli innumerevoli tic, i difetti, il grande cuore e il grande cinismo: fu questa in fondo la sua fortuna, quella di aver intercettato i problemi del paese, anche anticipandoli se pensiamo ai nostri giorni, e la sua maschera era talmente potente che alla fine è stato imitato anche nella vita di tutti i giorni", dice ancora Verdone. "Sordi fu un gigante - aggiunge Luca Verdone - perché ancora oggi ci dimostra che quello era un cinema di genialità e ingenuità: abbiamo fatto questo documentario anche pensando ai giovani registi, che dovrebbero rituffarsi nel nostro passato per pensare il cinema del futuro".
Immagini di repertorio e contributi da colleghi (come Franca Valeri e Gigi Proietti, Claudia Cardinale), critici (Gian Luigi Rondi e Goffredo Fofi), registi e sceneggiatori (Ettore Scola, Carlo ed Enrico Vanzina), produttori (Dino De Laurentiis e Fulvio Lucisano), amici (come Emi e Christian De Sica) e parenti: la sorella di Alberto, Aurelia Sordi, alla quale "il documentario è dedicato e senza la quale non sarebbe stato possibile realizzarlo", ricordano Carlo e Luca Verdone.