Billy Elliott è cresciuto. A sette anni dal piccolo ballerino che lo ha lanciato nel cinema, Jamie Bell passa l'esame di maturità, nel ruolo di un diciottenne sognatore e introverso con cui si presenta in concorso alla 57a Berlinale. L'occasione proviene dall'applaudito Hallam Foe di David MacKenzie, dramma leggero e introspettivo, che lo incorona come protagonista assoluto. Al centro della storia, in cui affianca Sophia Myles, è la stralunata prospettiva sul mondo, che il ragazzo matura in seguito alla morte della madre. Ossessionato dalla sua figura, risponde al trauma chiudendosi in un suo stralunato universo: vive arrampicato sugli alberi, si dipinge come un indiano e accampa addirittura un campanile. A tormentarlo è soprattutto la convinzione che la mamma sia stata uccisa dalla nuova compagna del padre: la glaciale Claire Forlani, a cui la sceneggiatura affida il ruolo di una perfida calcolatrice.
Numerose risate alla proiezione stampa sottolineano però la leggerezza del registro che il regista imprime al film. La vita di Hallam subisce infatti una radicale svolta con l'abbandono della casa paterna e l'arrivo a Glasgow. In un crescendo di bizzarrie e sempre più astrusi comportamenti, il ragazzo finisce qui per innamorarsi di una donna, che richiama in tutto e per tutto la mamma scomparsa. Impossibile non ridere e commuoversi di fronte al suo approccio infantile: trovato grazie a lei lavoro in un albergo, trova rifugio in un campanile dirimpetto al suo appartamento, per spiarla con un binocolo tra le crepe dell'orologio. Addirittura esilaranti sono poi la folle sfida che ingaggia col manager dell'hotel che la visita di tanto in tanto e lo scambio di battute al primo approccio con lei. Il dramma è però sempre in agguato e accompagna la commistione di leggerezza e introspezione fino alla fine del film.