(Cinematografo.it/Adnkronos) - “Con gli attori è stato un gioco di scambi che mi ha commosso, ho pianto spesso: sono il regista più piagnone della storia del cinema. Mi commuovevano le cose che combinavano, il prodigio che si fa carne, che si fa racconto”. É l’entusiasmo di un innamorato del cinema quello con cui il fumettista e romanziere Igort, pseudonimo di Igor Tuveri, parla a Venezia della sua opera prima come regista, ‘5 é il numero perfetto’, unico film italiano alle Giornate degli Autori in cui ha diretto un grande cast corale capitanato da Toni Servillo, Valeria Golino e Carlo Buccirosso.

“È la mia opera prima e avere l’appoggio di questo grande cast ha significato molto per la costruzione della temperatura emotiva del racconto”, rivela il regista, che ha lavorato per molto tempo in Asia, sottolineando che “é tutta colpa di Toni. Da quando ci siamo conosciuti abbiamo scoperto che abbiamo gli stessi numi tutelari, molte cose in comune e lo stesso modo di immaginare il film”. Una storia nata da una graphic novel dello stesso Igort, che racconta le vicende di Peppino Lo Cicero, un guappo e sicario in pensione che torna in pista dopo l’omicidio del figlio. 

Un piccolo affresco napoletano nell’Italia degli anni Settanta, in cui un avvenimento tragico innesca una serie di azioni e reazioni violente che faranno scaturire l’occasione per una nuova vita. La storia doveva diventare un film dal 2004, ma solo ora, dopo quasi dieci stesure, si è concretizzata anche grazie all’insistenza di Servillo che ha voluto a tutti i costi Igort come regista. “Io ho sempre insistito che fosse Igort a passare dal tavolo da disegni alla cinepresa -dice l’attore napoletano- perché pensavo che fosse la persona più giusta per raccontare il cuore della storia. Basta vedere con quale passione e candore intellettuale ne parla, il suo desiderio di rischiare. È un autore che ama il mondo e che ha cercato di raccontarlo in un modo originale”.

Ciò che invece ha portato Servillo a voler interpretare il ruolo del protagonista è il fatto che “mi è piaciuto il racconto di una persona che sul finire di una carriera criminale crede di avere la coscienza a posto, e quando capisce che è un’illusione deve rimettere in discussione tutto. Dietro la gabbia di un killer in pensione si nasconde la fragilità di un uomo che fa i conti con un bilancio che non è positivo”, spiega. 

E alla fine il grande fumettista cagliaritano ha accettato perché “una cosa del cinema che mi affascina é l’incidente, qualcosa che arriva, ti spiazza e dal quale di solito sorgono meraviglie”. Dal punto di vista visivo Igort voleva un racconto “che evocava un lavoro sul colore: deve quindi molto anche alla pittura, che fa parte della cultura italiana che caratterizza il nostro paese e di cui io sono orgoglioso”. Il film è un continuo omaggio al cinema italiano, da Antonioni a Fellini a Sergio Leone “che ha inventato un’ipotesi di western che non esisteva nel cinema. Della cultura moderna adoro la capacità di meticciarsi, questo è un film meticcio”, dice.

Il modo in cui il regista é stato sul set “era originale e personale, ma con un entusiasmo e una ingenuità bellissimi - commenta Valeria Golino, che nel film è l’amante di sempre di Peppino Lo Cicero- e c’è in lui questa contraddizione: da un lato il suo totale incanto da bambino verso il cinema e allo stesso tempo la consapevolezza di quello che voleva, che sapeva esattamente”. E forse è anche questo  che ha spinto Rai Cinema a coprodurre la pellicola. “È in più di 300 copie, segno di grande accoglienza del mercato, e di questi tempi non è scontato per il cinema italiano”, dice l’ad Paolo Del Brocco, sottolineando che “nell’ambito dei film di ricerca diversi e originali siamo di fronte a qualcosa che, come stile e linguaggio, non troviamo facilmente È un film che credo sia difficile che possa non piacere”.