Via dalla pazza folla

Far from the Madding Crowd

3/5
Vinterberg si tuffa nel dramma romantico tratto da Thomas Hardy. Impeccabile nella ricostruzione, ma non se ne avverte l'urgenza

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GRAN BRETAGNA 2015
Le melodrammatiche vicende di Bathsheba Everdene, inquieta e indipendente giovane donna che eredita la fattoria di suo zio. Acquisita l'autonomia economica - fatto straordinario per una donna dell'epoca Vittoriana -, Bathsheba diventa oggetto dell'attenzione di tre pretendenti assai diversi tra loro: il pragmatico allevatore Gabriel Oak, l'affascinante sergente Francis Troy, noto donnaiolo, e il maturo proprietario terriero William Boldwood. Trascinata in un groviglio di passioni, ossessione e tradimenti, la giovane troverà faticosamente la sua strada verso ciò che desidera veramente.
SCHEDA FILM

Regia: Thomas Vinterberg

Attori: Carey Mulligan - Bathsheba Everdene, Matthias Schoenaerts - Gabriel Oak, Tom Sturridge - Sergente Francis Troy, Michael Sheen - William Boldwood, Juno Temple - Fanny Robin, Jessica Barden - Liddy, Tilly Vosburgh - Sig.ra Hurst, Sam Phillips - Sergente Doggett, Bradley Hall - Joseph Poorgrass, Hilton McRae - Jacob Smallbury, Harry Peacock - Jan Coggan, Leonard Szepietowski - Vicario All Saints, John Gunn - Vicario All Souls, Andrew Price - Becchino, Thomas Arnold (III) - Avvocato, Richard Dixon - Maggiordomo dei Boldwood, Belinda Low, Pauline Whitaker, Jody Halse, Victor McGuire, Dorian Lough, Mark Wingett, Chris Gallarus - Billy Smallbury

Soggetto: Thomas Hardy - romanzo

Sceneggiatura: David Nicholls

Fotografia: Charlotte Bruus Christensen

Musiche: Craig Armstrong

Montaggio: Claire Simpson

Scenografia: Kave Quinn

Arredamento: Niamh Coulter

Costumi: Janet Patterson

Effetti: Mark Holt, Union Visual Effects, Snow Business International

Durata: 119

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Tratto da: romanzo "Via dalla pazza folla" di Thomas Hardy (ed. Garzanti)

Produzione: FOX SEARCHLIGHT, DNA FILMS

Distribuzione: TWENTIETH CENTURY FOX ITALY

Data uscita: 2015-09-17

TRAILER
CRITICA
"Vinterberg (...) cede a maxi dosi di archi e violini nella ottocentesca campagna inglese vittoriana ripresa foglia per foglia. (...) Manierismo, paesaggismo, la star inerte Carey Mulligan che replica Jane Austen senza sprint fra il buon pastore lanciatissimo e mesto Matthias Schoenaerts, il militare falso Sturridge, l'arrogante Michael Sheen (il migliore): ma dalle belle, prensili pagine di Hardy esce un soggetto da museo, sotto vetro, non si rizza un capello." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 17 settembre 2015)

"Il primo adattamento per il cinema del romanzo di Thomas Hardy 'Via dalla pazza folla' (1874) è del 1915; però rimane nella memoria di molti la versione del 1967, diretta da John Schlesinger e interpretata da un grande cast (...). Da una all'altra di queste date il concetto dell'amore e del matrimonio è cambiato assai: che c'era da aspettarsi mezzo secolo dopo, con la riscrittura di Vinterberg? La storia di Bethsabea (...) diventa un film in costume (...) saggio e compassato; che cerca, sì, di evidenziare le motivazioni proto-femministe della protagonista, però ne trascura aspetti più ambigui, e interessanti, come la repressione sessuale e una certa vanità. Scelta sorprendente per un regista che due decadi fa, col Dogma, propugnava la rivoluzione formale del cinema. Un film rispettabile, ma dove la ragione soffoca il sentimento." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 17 settembre 2015)

"Per quanto il libro sia lungo, non è arduo contenere le sue pagine nella misura delle due ore cinematografiche, perché la struttura di base è semplice (...). Il problema posto dalla trasposizione semmai è un altro: in quale ottica porsi di fronte a una protagonista ambivalente, che per certi versi sembra un'antesignana del femminismo e per altri appare superficiale e insondabile? Preceduto dall'impeccabile adattamento di John Schlesinger (...) e dalla recente parodia fumettistica di 'Tamara Drewe', il regista danese Thomas Vinterberg ha trovato il suo approccio attingendo direttamente al testo con un occhio ai classici hollywoodiani degli Anni 50. Ne è uscito un melò vittoriano, di quel genere che da molti viene liquidato sotto l'etichetta di film per signore. A ben guardare, il gioco è più sottile: Vinterberg veste i personaggi in costume solo per poterne denudare paure e contraddizioni, fragilità e passioni. Se Schlesinger con britannico affondo aveva dato rilievo al tema del peso delle costrizioni sociali sul destino degli individui, lo scandinavo Vinterberg preferisce stare addosso agli attori e farne risaltare l'interiore tessitura dei sentimenti. Così Bathsheba acquista l'umbratile, difensiva caparbietà di Carey Mulligan; il fantastico Michael Sheen conferisce vulnerata emotività al ricco proprietario Boldwood, che l'ossessione amorosa induce a un gesto irreparabile; Tom Sturridge confina il sergente Troy nello stereotipo di arrogante seduttore; e su tutti svetta il pastore Gabriel Oak di Matthias Schoenaerts, attore belga che ormai è richiestissimo e se lo merita. Forte e autentico, il suo Gabriel è l'uomo che da spazio alla donna, la sa rispettare, la sa attendere: la prova che l'amore può vincere su tutto. Il cineasta dissacrante di 'Festen' si rivela dunque l'ultimo dei romantici: di questi tempi, una scelta molto controcorrente." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 17 settembre 2015)

"Dopo la trasposizione del 1967 di John Schlesinger con Julie Christie del magnifico romanzo di Thomas Hardy (scritto nel 1874 e ambientato nel 1870), è il danese Vinterberg a mettervi la macchina da presa, scegliendo come protagonisti due top star: la talentuosa inglese Carey Mulligan e il macho belga Matthias Schoenaerts. II suo adattamento di 'Far From the Madding Crowd' riesce a restituire lo spirito di Hardy, scrittore per antonomasia delle eroiche figure femminile della Victorian Age, senza aggiungere personali velleità registiche. Mulligan, da parte sua, offre un'interpretazione di Bathsheba vicina all'originale seppur virata sullo sguardo contemporaneo. Per un pubblico appassionato al genere, specie femminile." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 17 settembre 2015)

"A occhio e croce (tra cinema e TV) è la quarta versione del romanzo di Thomas Hardy (la migliore per noi rimane sempre quella di Schlensinger negli anni '60 con una Julie Christie al top del sex appeal). Gran romanzo. Che non ha avuto troppe ristampe a causa di una sgradevolezza di fondo di Hardy, che non racconta mai di eroi e di eroine, ma di mascalzoni e di sventurati, condannati a una brutta fine, indipendentemente dai meriti e dei demeriti («Tess dei D'Ubervilles» rimane la più famosa sfigata di Hardy). (...) Piacerà certo ai lettori di Hardy. Che troveranno il Wessex come se l'erano solo immaginato sulla pagina (lande verdi che giustificano il titolo, nonché la decisione di Betsabea di fuggire dalla pazza folla delle metropoli). Tuttavia i meriti non sono illustrativi. Il danese Vinterberg (...) specialista nei ritratti di «isolati» messi in croce da un ambiente ostile, non ha rinunciato all'occasione di dipingere la borghesia di campagna ottocentesca. Avidi, prepotenti, meschini, i wessexians non possono non accogliere con diffidenza una donna che pretende di farsi i suoi affari da sola, che si serve del fascino per incantare i ricchi, che impone le sue idee su come amministrare la terra a chi su quella terra lavora da generazioni. Un ambiente che schiaccerebbe Betsabea se non avesse la ventura di essere amata dall'inizio dall'uomo giusto. Certo, Vintenberg è stato meno fortunato col cast dello Schlensinger del 1967. Che aveva a sua disposizione non solo Julie Christie, ma anche Peter Finch, Terence Stamp, Alan Bates (insomma il meglio del cinema inglese di quel periodo). Dei nuovi attori solo Michael Sheen non fa rimpiangere il predecessore Finch. Carey Mulligan invece non si rivela scelta felice come Betsabea. Non solo non è particolarmente bella (e qui non è troppo distante dal romanzo) ma nemmeno di grande peso scenico (Julie Christie sembrava una strepitosa regina quando irrompeva alla camera di commercio)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 17 settembre 2015)

"(...) il regista danese ex Dogma Thomas Vinterberg (...) si lancia in un elegante film in costume dove Bathsheba ha le espressioni fin troppo consapevoli di Carey Mulligan (la Christie era più incosciente e naïf) (...). Più bravi gli uomini della protagonista, grandi scene (da brividi quando Bathsheba si dichiara a Boldwood attraverso la canzone popolare 'Let No Man Steal Your Thyme') e una colonna sonora trascinante di Craig Armstrong. Quando arriva il vibrante bacio finale tra lei e l'uomo faticosamente scelto, si può dire che valeva la pena aspettare due ore di film." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 17 settembre 2015)

"Eccolo qui, un bel drammone vecchia maniera, terza versione cinematografica del romanzo di Thomas Hardy (datato 1874) che fece sognare il pubblico femminile, ammirato dalla figura indipendente della coriacea protagonista Bathsheba Everdine. Questo adattamento, firmato dal danese Thomas Vinterberg (quello di 'Festen' e 'Il sospetto'), riprende fedelmente le vicende del testo, affidandosi più alla bravura degli interpreti che a poco plausibili cambiamenti di rotta. Il risultato? Per chi conosce le vicende della trama tutto procede con il pilota automatico, senza particolari scossoni. Per gli altri, invece, fa fatica a scattare la scintilla del colpo di fulmine anche se, qualche fazzoletto, finirà per capitolare nelle mani delle spettatrici. (...) Carey Mulligan dimostra grande bravura e versatilità nel dar corpo e spessore ad una figura così complicata, affiancata dall'ottimo Matthias Schoenaerts (...), convincente e quasi imperturbabile Gabriel. Eppure, pur essendoci tutti gli ingredienti, le due ore passano senza particolari sussulti." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 17 settembre 2015)

"Vinterberg, rifattosi una presentabilità da cineasta di qualità da esportazione dopo l'equivoco del Dogma, compone un manuale del cinema accademico asfittico e privo di qualsiasi guizzo vitale tanto da assurgere, perversamente, a una dimensione di rara perfezione manualistica al contrario. Il film scorre via con la pesantezza delle sceneggiature «scritte benissimo», «splendidamente» fotografato e interpretato «meglio». La storia di Bathsheba Everdene (...) è un classico fuori dal tempo. Ma nelle mani di Vinterberg viene ridotto a un banale romanzetto di formazione pseudofemminista, nel quale i moti dell'animo della protagonista risultano schematizzati secondo una logica televisiva nel senso più deteriore e fortunatamente sorpassato del termine. Nonostante il dispendio scenografico, gli interpreti si riducono a un carnet di espressioni e vezzi offerti con il pilota automatico. Eppure, siccome la soap opera aspira all'arte mentre in realtà tenta di vendicarsi di essa, gli archi di Craig Armstrong mimeticamente immaginano scarti di regia e acuti che Vinterberg non è in grado di fornire. Resta dunque la frustrazione di un libro ridotto allo scheletro della sua «storia», inutilmente modernizzato, in cui si finge di soffrire e si lanciano sguardi carichi di qualsiasi cosa, tranne che di cinema. Tutto ciò che è riconducibile al sentire è ridotto alla sua parodia intesa come paradossale ipertesto di ciò che il film in quanto forma e linguaggio non riesce a esprimere. Quello di Vinterberg è il cinema più reazionario del mondo (proprio come la politica europea di cui è espressione perfetta). Pateticamente nascosto dietro i presunti proclami dell'arte e del politicamente corretto, afferma e legittima l'esistente con gli strumenti del consenso di ieri." (Giona A. Nazzaro, 'Il Manifesto', 18 settembre 2015)