Sweetie

AUSTRALIA 1989
Kay, una ragazza australiana di famiglia modesta, è condizionata fin dall'infanzia dalla prepotente e viziata sorella maggiore, Sweetie, che sopra a un albero del giardino aveva fatto il suo "castello", luogo magico, pieno di lampadine colorate, dove regnava come principessa, vietando però a lei di salirvi. Ora Kay, divenuta adulta, lavora e ha una vita ordinata, in cui non c'è amore, ma solo sesso, però ha mille paure segrete perchè soffre di gravi turbe psichiche, delle quali gli altri non si accorgono. Quando una chiromante le descrive l'uomo che amerà seriamente, Kay lo identifica subito con Louis (fidanzato di una collega), si unisce a lui e il loro amore sembra felice. Ma, dopo un anno, viene ripresa dalle sue angosce, rifiuta di fare l'amore con Louis, e si chiude in se stessa. Quando il giovane pianta in cortile un alberello per festeggiare il loro primo anniversario, lei, terrorizzata dalla possibile morte della pianticella, di notte la strappa, ma la conserva ormai secca in un armadio. Improvvisamente le piomba in casa Sweetie, col suo attuale compagno, Bop, un ex drogato, col quale vuol darsi al teatro: il padre, infatti, l'ha persuasa fin da piccola di avere talento. E ora Sweetie, grassa, sciatta, delirante e vitalissima, si istalla con Bop nel piccolo alloggio in cui vivono Kay e Louis, mettendolo a soqquadro. Inutilmente la sorella le ordina di andarsene, perchè l'altra cerca solo di ferirla. Sweetie ha una sensualità sfrenata (tenta di sedurre anche Louis), e va soggetta a paurose crisi di collera, che le servono per farsi temere. Giunge anche l'anziano padre delle due donne, Gordon, ossessionato dal suo grande affetto per la figlia maggiore, che non vuole venga ricoverata in un ospedale psichiatrico. Ora la moglie, Flo, è andata a lavorare lontano per qualche tempo, e Gordon, Kay e Louis vanno da lei lasciando Sweetie a casa con uno stratagemma. Al loro ritorno la trovano molto peggiorata; è regredita, imita i latrati di un cane, ma forse simula. Poi la famiglia si riunisce nella casa dei genitori, dove Sweetie torna sopra il suo albero, nuda e con tutto il corpo dipinto. Mentre la madre cerca di farla ricoverare, il padre vuole calmarla e farla scendere. Allora la donna, infuriata, fa crollare il "castello", provocando il ferimento di Gordon e la propria morte. Dopo la scomparsa della sorella, Kay ritrova un amore completo con Louis e il proprio equilibrio.
SCHEDA FILM

Regia: Jane Campion

Attori: Sean Callinan - Simboo, Sean Fennel - Boy Clerk, Bronwyn Morgan - Sue, Robin Frank - Ruth, Paul Livingston - Teddy Schneller, Jean Hadgraft - Mrs. Schneller, Geneviève Lemon - Sweetie, Michael Lake - Bob, Louise Fox - Cheryl, Jon Darling - Gordon, Dorothy Barry - Flo, Karen Colston - Kay, Tom Lycos - Louis, Andre Pataczek - Clayton, Anna Merchant - Paula, Emma Fowler - Sweetie Da Piccola

Soggetto: Jane Campion

Sceneggiatura: Gerald Lee, Jane Campion

Fotografia: Sally Bongers

Musiche: Martin Armiger

Montaggio: Veronika Haussler

Scenografia: Peter Harris

Durata: 95

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: PANORAMICA A COLORI

Produzione: JOHN MAYNARD PER ARENA FILM/UGC

Distribuzione: MIKADO FILM (1990) - EMPIRE VIDEO, GENERAL VIDEO, SAN PAOLO AUDIOVISIVI (DIAMANTI)

NOTE
- IN CONCORSO AL 42. FESTIVAL DI CANNES (1989).
CRITICA
"(...) le immagini di Jane Campion sono parenti strette di quelle di David Lynch. La diversità non è (solo) dei diversi. L'impossibilità di essere normali è risaputa. Già visto? Niente affatto. Sweetie è costruito come un incubo. E come un incubo, vive dentro un sogno. E i sogni non sono mai gli stessi. Non sono stati mai visti. Non si rivedranno mai. La provincia australiana o neozelandese (fa differenza?) la sapevamo frequentata da misteriose presenze (Pic-nic ad Haning Rock) o proiettata a mo' di prototipo futurista (Mad Max). E la conoscevamo finanche per la sua triste origine: un'isola, un continente, un arcipelago nati come carceri naturali, galeotti osservati a vista dai pescecani, lotta per la sopravvivenza, legge della giungla, il diritto del più forte (...)." (Aldo Fittane, 'Segno Cinema n. 45', ottobre 1990)

"In 'Sweetie' la raffinata orchestrazione visiva del racconto si rivela un grimaldello grazie al quale è possibile accostarsi ad una desolazione straziante eppure sotterranea, ad una situazione familiare dove angosce e incomprensioni covano sotto la cenere di una paralisi dell'espressione - una sorta di catatonia estesa ad un nucleo familiare, che finisce per azzerare quasi tutte le peculiarità individuali. Cristallizzando i termini del conflitto, osservando attraverso il filtro della forma le scorie della «normalità», la Campion ci fa percepire gli aspetti patologici di una vita ripiegata su se stessa, dove le pulsioni più autentiche - a furia di venire represse a viva forza - hanno acquisito una spaventosa forza disgregatrice, che, fatta eccezione per la protagonista, si lascia soltanto indovinare, ma che proprio per questo assume una dimensione profondamente inquietante (...)."(Leonardo Gandini, 'Cineforum', marzo 1991)


"Un pasticcio. Con finte ricerche intellettuali sui caratteri, il tentativo, sempre scoperto, di sfiorare il surreale pur tenendosi alla cronaca spicciola." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo')

"Il film merita di essere discusso. Dopo tutto la sua autrice ha tanto di laurea in antropologia." (Giovanni Grazzini, 'Il Messaggero')

"Sweetie turba, disturba, non lascia indifferenti, provoca. Insomma chi non ama il cinema conciliante può trovarci delle ragioni di soddisfazione." (Irene Bignardi, 'La Repubblica')

"Non si tratta di un cinema, come direbbe Morandini, liscio e sferico; è un cinema, quello della Campion, irrequieto, spiazzante, frammentato nello stile e nello spirito." (Renzo Gilodi, 'La Rivista del Cinematografo')

"L'autrice dimostra una bella sicurezza nel mantenere in equilibrio la commedia fra il registro grottesco e quello tragico sconfinando in momenti di tenerezza legati all'evocazione dell'infanzia." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa')

"Il vento incessante, l'albero, il sogno d'arte, una sgradevole realtà fatta di sporcizia, urla, depressione ed euforia gli elementi su cui lavora la Campion sono fermati da una fotografia povera, apparentemente improvvisata." (Francesco Bolzoni, 'La Rivista del Cinematografo')