Post Mortem

4/5
L'uomo senza qualità e il collasso della democrazia cilena: Larraìn riscrive le traiettorie del cinema politico. Grande film, ma non per tutti, in Concorso

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GERMANIA 2010
Cile, 1973. Il paese è in subbuglio a causa del golpe, il governo Allende sta per essere rovesciato e la gente muore per le strade. Su questo sfondo si dipanano le vicende di Mario, 50enne impiegato di un obitorio, che alla scomparsa dell'amata vicina di casa decide di andare alla sua ricerca...
SCHEDA FILM

Regia: Pablo Larraín

Attori: Alfredo Castro - Mario Cornejo, Antonia Zegers - Nancy Puelmas, Jaime Vadell - Dott. Castillo, Amparo Noguera - Sandra, Marcelo Alonso - Víctor, Marcial Tagle - Capitano Montes

Sceneggiatura: Pablo Larraín, Mateo Iribarren, Eliseo Altunaga - consulenza

Fotografia: Sergio Armstrong

Musiche: Alejandro Castanos, Juan Cristóbal Meza

Montaggio: Andrea Chignoli

Scenografia: Polin Garbisu

Costumi: Muriel Parra

Durata: 98

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 16 MM STAMPATO A 35 MM (1:2.66)

Produzione: JUAN DE DIOS LARRAÍN PER FABULA, CANANA, AUTENTIKA PRODUCTION

Distribuzione: ARCHIBALD ENTERPRISE FILM

Data uscita: 2010-10-29

TRAILER
NOTE
- IN CONCORSO ALLA 67. MOSTRA INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI VENEZIA (2010).

- FILM DISTRIBUITO IN ITALIA SOLO IN VERSIONE ORIGINALE CON I SOTTOTITOLI IN ITALIANO.
CRITICA
dalle note di regia: "'Post Mortem', ambientato in uno dei periodi più bui e sanguinosi della storia del Cile, attraverso l'incrocio di tre registri cinematografici, estetici ed etici - testimoniale, storico e narrativo - va in cerca della sua funzione poetica attraverso il turbamento, l'assurdità e la conseguenza di un viaggio senza scopo."

"Come per gli altri film, la storia politica e sociale che abbraccia la vita misera di quest'uomo abietto, rimane fuori come un'eco. Lo si sente rimbombare in questa specie di allucinante fuori campo etico e politico. L'obitorio inizia a riempirsi di cadaveri, donne e uomini uccisi con armi da fuoco, mentre i militari sorvegliano gli impiegati e i dottori nello svolgimento della loro funzione. Cornejo sembra disinteressarsi di quel che gli accade intorno, la sua unica meta è conquistare la ragazza (...). Ma a un certo punto, il piano della grande storia, così efficacemente evocato, si piega fatalmente a incrociare quello della piccola storia, così da esplodere in tutta la sua potenza. (...) Ecco, il dispositivo drammaturgico messo in moto da Pablo Larraín raggiunge un momento nodale. Piccola e grande storia, insieme riunite sullo stesso tavolo, nello stesso obitorio. Il post mortem che lì si racconta, evidentemente, non è solo quello di Salvador Allende, ma anche quello di questo piccolo impiegato che non vive il suo presente ma solo il sogno di una conquista impossibile. Quello di Larraín (troppo giovane per aver vissuto il golpe) è anche un atto di accusa verso il Cile, di ieri e forse anche di oggi." (Dario Zonta, 'L'Unità', 29 ottobre 2010)

"Secondo il regista, l'amore infelice dell'uomo è la metafora del Paese che prova a sperimentare un modello politico nobile, il socialismo, senza riuscirvi. Più convincente forse è l'immagine dell'indifferenza ignorante con cui una massa può seguire eventi politici che crede non la riguardino direttamente. Il dattilografo innamorato vede moltiplicarsi i cadaveri in arrivo all'obitorio, li vede diventare tanto numerosi da invadere ogni spazio, senza neppure chiedersi come mai; si vede convocare per un'autopsia importante presidiata da militari e polizia senza accorgersi che si tratta dell'esame autoptico del corpo di Allende. La politica entra comunque, cancellata dalla gelosia, nella vita del piccolo impiegato; la cosa più bella del film è la sua atmosfera di inerte desolazione." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 29 ottobre 2010)

"A riassumerlo con uno slogan, è il golpe in Cile visto dall'obitorio. Letteralmente. Siamo infatti nel settembre del 1973, alla vigilia di quella che sarebbe passata alla Storia come una delle pagine più violente e vergognose del secondo '900 (chi non ha l'età per ricordare veda il poetico e straziante 'Salvador Allende' di Patricio Guzman, dvd Feltrinelli). Anche se qui tutto è vissuto al presente ma come da lontano, quasi fosse 'un evento remoto e incomprensibile. (...) Nato tre anni dopo il golpe di Pinochet, Larraín continua a fantasticare sulla scena fantasma che ha marchiato la sua generazione. Riprendendo non solo i dibattiti mai risolti (fece bene Allende a restare non violento, o doveva armare i suoi sostenitori?), ma le atmosfere livide e il protagonista macilento (l'impagabile Alfredo Castro) del suo primo film, 'Tony Manero', dove era un serial killer che sbarcava il lunario come sosia di John Travolta nel Cile di Pinochet. L'idea è ancora una volta suggestiva, la messa in scena tagliente, spietata e di grande inventiva, gli attori perfetti (Antonia Zegers, ballerina troppo magra, è una rivelazione). E il ritmo lento, le immagini vuote, l'infinita tristezza delle scene di sesso, stringono davvero la gola. Anche se in questo cinema così controllato e funereo c'è qualcosa di soffocante, e a dirla tutta artificioso, un poco inquietante per un regista così giovane." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 29 ottobre 2010)

"ll regista cileno di 'Tony Manero' (premiato al Torino Film Festival 2008) è tornato a interloquire con il volto scarnificato di Alfredo Castro, e il suo personaggio di solitario ed emozionalmente congelato osservatore del mondo. (...) Lorrain è minuziosamente crudele nei suoi tempi lenti, le geometrie visive, e un andamento iniziale da commedia, prima di trascinarci davanti ai ragazzi morti, distesi nei corridoi della clinica piantonata dai militari. Pietrificata e insostenibile immagine dell'ordinario espletamento delle funzioni di un trascrittore di referti mortuari. Una luce verde spettrale avvolge le figure dei macabri cerimonieri, medici, infermieri, becchini... il colpo di stato è fuori campo, il primo piano è per il 'dopo', il Cile complice. Un film dell'ordinaria crudeltà, di chi assiste alla fine del mondo, ma 'sono cose che non interessano alla gente', leit motiv dei politici di oggi. (...) Una lunga, estenuante, minuziosa performance fatta di oggetti simbolo della normalità, pietre tombali sulla memoria della Casa Rosada. Cosa mai sarà un delitto privato, direbbe monsieur Verdoux, di fronte ai delitti di stato? Ma c'è qualcuno che protesta e grida forte dall'alto della scalinata dove rotolano le vittime. Fermo immagine sul risveglio di chi era distratto mentre accadeva."(Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 29 ottobre 2010)