Isola 10 - Dawson Isla 10

Dawson Isla 10

3/5
Lezione di umanità nei campi di concentramento di Pinochet. Cinema al servizio della storia, con dignità

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BRASILE 2009
Subito dopo il golpe mililtare del 1973, tutti i collaboratori di Salvador Allende, tra cui Sergio Bitar, vengono arrestati e deportati in un campo di concentramento situato sull'isola di Dawson, nello Stretto di Magellano. Privati della loro identità, questi uomini vengono ribattezzati con un numero e si trovano a vivere in condizioni impossibili. Grazie alle pressioni della Croce Rossa Internazionale viene loro risparmiata la vita e i detenuti, nonostante le torture, cercano di sopravvivere fingendo di condurre ancora la vita di un tempo e simulando persino di ricoprire ancora i ruoli che avevano nel Governo di Allende. Trent'anni dopo, i sopravvissuti al campo di prigionia ritornano sull'isola e trovano a riceverli i carcerieri di un tempo, che hanno saputo riciclarsi come funzionari del potere democratico.
SCHEDA FILM

Regia: Miguel Littin

Attori: Benjamín Vicuña - Sergio Bitar, Cristián de la Fuente - Tenente Labarca, Pablo Krögh - José Tohá, José Bertrand - M. Lawner, Sergio Hernández - Comandante Fellay, Luis Dubó - Sergente Figueroa, Matias Vega - Osvaldo Puccio figlio, Horacio Videla - Dottor Arturo Giron, Alejandro Goïc - Capitano Salazar, Caco Monteiro - Fernando Flores, Andres Skoknic - Orlando Letelier, Elvis Fuentes - Clodomiro Almeyda, Pedro Villagra - Sottufficiale Barriga, Jose Martin - Osvaldo Puccio padre

Soggetto: Sergio Bitar - autobiografia, Miguel Littin

Sceneggiatura: Miguel Littin

Fotografia: Miguel Joan Littin

Musiche: Juan Cristóbal Meza

Montaggio: Andrea Yaconi

Scenografia: Carlos Garrido

Costumi: Marisol Torres

Altri titoli:

Dawson, Island 10

Isla 10

Durata: 117

Colore: B/N-C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 35 MM

Tratto da: ispirato all'autobiografia di Sergio Bitar

Produzione: MIGUEL LITTIN, WALTER LIMA PER AZUL FILM, VILLA DEL CINE

Distribuzione: NOMAD FILM (2011)

Data uscita: 2011-06-17

TRAILER
NOTE
- LUOGO DELLE RIPRESE: DAWSON E SANTIAGO DEL CILE.

- IN CONCORSO ALLA IV EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (2009).
CRITICA
"Ispirato al diario di prigionia scritto anni dopo ad Harvard dall'ex-ministro Sergio Bitar, 'Dawson, Isla 10' del celebrato regista cileno Miguel Littin, racconta la lotta quotidiana per salvare la dignità personale contro le regole assurde e umilianti imposte dai carcerieri, fra brutalità quotidiane (le malattie vengono ignorate, le celle di rigore sono scatoloni alti un metro in cui si sta ammassati come sardine), e improvvise epifanie (la morte di Pablo Neruda, una tv che trasmette a sorpresa l'assalto golpista alla Moneda, un secondino che distribuisce di nascosto spremute e frutta secca ai prigionieri). Ma anche le divisioni interne al regime, i militari che premono per far fuori tutti, i burocrati che prendono tempo, cavillano, in definitiva li salvano. Nulla di mai visto o di sconvolgente: ma gli attori sono eccellenti, le atmosfere accurate, l'emozione inevitabile. È presto per parlare di premi, ma a Roma il cinema politico funziona sempre, chissà." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 17 ottobre 2009)

"Quello di dare un volto riconoscibile ai vari politici prigionieri è l' ultima delle preoccupazioni di Littin. Non gli interessa stabilire gerarchie di qualche tipo o facili percorsi identificativi. Nel suo film i prigionieri diventano l'altra faccia di chi è costretto, contro la sua volontà, in situazioni di privazione fisica e morale. Perché Littin non vuole dividere i buoni dai cattivi (ci ha già pensato la Storia) ma ricordare a ogni essere umano il suo diritto alla dignità." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 17 ottobre 2009)

"Littin si prende il suo tempo e ce lo racconta con un film di finzione dall'estetica documentaria, attingendo al genere del cinema, anzi del melodramma civile. Ottimi attori, impostazione solida, viviamo come ospiti in questo campo, guardando uomini che si spezzano, nella salute e nell'anima, senza piegarsi, mantenendo una solidarietà, magari polemica, che nasce dalla propria idea e, diciamolo, ideologia. Non è 'Missing' di Costa-Gavras che ci raccontò le persecuzioni di Pinochet, è un film piano, a volte noioso, che osserva con onestà morale e intellettuale la banalità del male. Quella della repressione dei regimi, ottusi e inumani: che siano pseudodemocratici come quelli moderni o marziali come quelli di allora." (Boris Sollazzo, 'Liberazione', 17 ottobre 2009)

"Il film, assemblando con originalità rigore documentario e sguardo visionario, indaga nelle pieghe di quella convivenza, e nella lezione di dignità cui molti degli stessi carcerieri non poterono restare insensibili." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 16 ottobre 2009)

"I lager sono tutti uguali, comunisti, nazisti, fascisti. Nel senso che alla fine ci si divide in prigionieri e in carcerieri. Così come è simile in analoghe circostanze l'istintiva volontà delle vittime di sopravvivere e la pervicace, metodica azione degli aguzzini per minarne la resistenza. Ed è questo che documenta con forza l'intenso film di Miguel Littin "Dawson, Isla 10", dove Dawson è il nome dell'isola dell'estremo sud del Cile in cui nel 1973 Pinochet fece rinchiudere i membri del deposto governo di Allende dopo il colpo di Stato militare, e Isla 10 la sigla attribuita a uno dei prigionieri, Sergio Bitar, ministro delle Attività minerarie.È attraverso il suo sguardo, prima incredulo e atterrito poi rassegnato ma non vinto, che il regista racconta quella drammatica pagina di storia, dall'arrivo nel campo di prigionia fino alla liberazione grazie all'interessamento delle Nazioni Unite, della Croce rossa e di importanti esponenti politici, tra i quali Ted Kennedy. Una storia tratta proprio dal libro che Bitar scrisse dopo la liberazione e che ha lasciato un segno al Festival del film di Roma. (...) Presentato in anteprima internazionale, il film di Littin colpisce per il suo scavare nei meccanismi della prigionia, nel far emergere una situazione in cui l'annientamento psicologico del detenuto, prima ancora che quello fisico, è prioritario per scardinarne le difese e le convinzioni politiche. La tecnica di ripresa soprattutto nelle sequenze iniziali - un guardare attraverso gli occhi del detenuto - restituisce lo sgomento delle vicende narrate per gettare lo spettatore in quello stesso orrore. Poi via via il resoconto, reso impeccabilmente da una fotografia senza artifici e fredda quanto il clima gelido dell'isola all'estremo sud del continente, diventa più distaccato; ma la cinepresa, pur intenta a dare conto della natura ostile e tuttavia prodiga di struggenti paesaggi, è sempre pronta a cogliere emozioni, sensazioni, umori dei personaggi, con uno sguardo che cerca l'altro che soffre. (...) con uno stile a metà tra documentario e cinema grazie a un sapiente dosaggio di colore e bianco e nero, Littin - uno dei più noti registi latino americani - non indulge al sentimentalismo, si limita a riferire senza retorica né inutili parole il dignitoso coraggio dei prigionieri e il lento ma significativo riaffiorare di una umana solidarietà nei militari. La cinepresa è un occhio che scruta e illumina il comportamento umano." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 21 ottobre 2009)

"Tra documentarismo e finzione, Dawson è una Guantanamo ante litteram: nulla di nuovo sul filone carcerario, niente di mai visto ('Missing' di Costa Gavras rimane insuperato) sul regime di Pinochet, ma le immagini di repertorio e la bravura degli interpreti la rendono un'isola felice, ma al netto della piattezza narrativa e della minaccia retorica. Gli aguzzini urlano, odiano e annichiliscono, ma in piedi rimangono le loro vittime: di fronte a una pena sovrumana, la dignità non crepa." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 16 giugno 2011)

"Sui giorni truci vissuti delle personalità del governo Allende segregate nell'isola di Dawson, non ci sono racconti specifici, se non spezzoni in altri film. Segregati in un campo di concentramento dove viene fuori tutto, dal flirt quotidiano con la morte all'ingerenza degli americani, ministri e amministratori con le loro famiglie passano l'inferno dopo il golpe del 1973 a Santiago. Passo di cronaca, dettagli tragici che si aprono alla Storia, qualche concessione al mélo, un grande onorevole spirito di solidarietà nel disastro: è un Littin esperto e sagace a dirigere. Ci è capitato di scrivere dal festival di Roma che questo meritevole ritratto di una nazione non aveva un distributore italiano. Onore alla piccola e giovane Nomad Film." (Silvio Danese, 'Giorno-Carlino-Nazione', 17 giugno 2011)

"La cifra è il realismo (come sempre nel cinema di Littin), ma, pur in ambienti così orrendi e tra personaggi tanto spregevoli, senza mai un eccesso, quasi, a far polemica, bastino i fatti nudi e crudi così come sono raccontati. Facce, gesti, momenti dolorosi, altri scopertamente violenti, espressi sempre però con un dominio del linguaggio che, pur senza enfasi, anzi con armonia, diventa ad ogni svolta vero stile. A firma di un grande Autore." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo cronaca di Roma', 17 giugno 2011)