Il grande match

La gran final

Né (V)ieri, né (M)oggi: un ritorno al calcio delle origini in Mongolia e Niger, passando dal Rio delle Amazzoni

Leggi la recensione

GERMANIA 2005
Le avventure di una famiglia nomade nella steppa della Mongolia, di una tribù di cammellieri Tuareg nel deserto del Sahara e di una famiglia di Indios nella foresta dell'Amazzonia. Ognuno di loro deve trovare un modo per riuscire a vedere la partita Germania-Brasile, finale del Mondiale di calcio Giappone 2002.
SCHEDA FILM

Regia: Gerardo Olivares

Attori: Shag Humar Khan - Dalai Khan, Abu Aldanish - Aldanish, Boshai Dalai Khan - Turkan, Mohamed Hassan Dit Blinde - Mihamed, Aghali Mamane - Abdul, Mahamadou Alzouma - André, Mohamed Telit - Ibrahim, Zeinolda Igiza - Nonna, Ahmed Alansar - Aboubacar, Atibou Aboubacar - Hassan, Kenshleg Alen Khan - Kumar Khan, Tano Alansar - Hamidou, Sain Shamairdan - Shamairdan, Esentai Samer Khan - Kosan, Khoshibai Edil Khan - Generale, Wirapitang Kaapor - Chama, Piriháa Kaapor - Caito, Chay Kaapor - Xico, Kinchiran Kaapor - Gero, Adalberto Jun - Missionario

Sceneggiatura: Gerardo Olivares, Chema Rodríguez

Fotografia: Gerardo Olivares

Musiche: Martin Meissonnier

Montaggio: Rosario Sáinz de Rozas

Effetti: Pablo Urrutia, Kinema Digital

Altri titoli:

Das Grösste Spiel der Welt

The Great Match

La grande finale

Durata: 88

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)

Produzione: GREENLIGHT MEDIA AG, WANDA FILMS S.L.

Distribuzione: MIKADO (2007), DVD: DOLMEN HOME VIDEO

Data uscita: 2007-07-20

NOTE
- PROIEZIONE SPECIALE AL 56MO FESTIVAL DI BERLINO (2006).
CRITICA
"'Il grande match', che arriva dal Festival del deserto, è però qualcosa di più, un affascinante ragionamento con paesaggio sull'omologazione dei desideri. Anche i ragazzi sperduti nelle steppe della Mongolia sanno chi sono Ronaldo e Ronaldinho. Il documentarista Gerardo Olivares, basandosi su vita vissuta, in tre storie parallele, ci racconta gli straordinari sforzi geografici di persone che cercano un piccolo schermo, nel deserto, nella giungla, ovunque, per seguire, generatore elettrico alla mano, il gran finale dei campionati 2002, Germania-Brasile. Una famiglia nomade mongola, una carovana di Tuareg del Sahara, un gruppo Indio d'Amazzonia, si industriano e rischiano lunghi e complicati viaggi per azionare un video, assistere all'evento, alzandosi in piedi per gli inni nazionali. L'omologazione è faticosa, non è un pulsante sul divano, ma un biblico spostamento. Ma tutti sanno tutto: li vediamo imitare i campioni del cuore, parlare delle tecniche del calcio, verniciarsi la schiena coi numeri dei giocatori. Partecipano all'affascinante storia aquile, cavalli, volpi e cammelli, ma è il senso di questa avventura che seduce e inquieta, in un mondo dominato dall'informazione. Come fanno questi uomini sperduti nel mondo a conoscere nomi e gesta dei calciatori? Come arriva nei deserti la passione del pallone? Domande senza risposta, riassunte in un film che conta certamente sul fascino di cartoline dal mondo, ma senza retorica folk, abbozzando, in dialetti e paesaggi esotici, personaggi veri e reali." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 11 luglio 2007)

"Eccola, dunque, l'idea semplice e geniale de 'Il grande match': raccontare - in un mondo in cui l'accesso alle informazioni in tempo reale ovunque è un dato acquisito - le peripezie che persone isolate dal resto della civiltà sono disposte a compiere per riuscire a vedere la finale del 2002 tra Germania e Brasile. (...) Tutti dimostreranno di possedere tenacia e creatività per realizzare il loro sogno. Lontani da tutto, essi sanno che basta una parabola per raggiungere quel mondo così distante. È la ricerca di un contatto che avvicina, ma che ribadisce anche l'incolmabile distanza tra Nord e Sud che va ben oltre le ovvie differenze culturali. In questo senso Olivares realizza un film amaramente ironico sulla globalizzazione, in particolare su quel villaggio globale in cui la televisione abbatte le barriere, ma nello stesso tempo appiattisce, proponendo modelli uniformi, anche nelle passioni e nei desideri. Lo stesso calcio, in quest'ottica, diventa omologazione ad una legge di mercato più che strumento di evasione, pur restando importante momento di aggregazione. E in questo il film rende omaggio ad un tifo genuino, senza confini, fatto di simpatie personali più che di campanile. Grazie alla spontaneità degli improvvisati attori, tra notevoli paesaggi e splendide inquadrature di aquile in volo, di cavalli e cammelli in marcia tra steppe e deserti, Olivares costruisce un film forse un po' naïf, ma piacevole, non privo di trovate divertenti e quasi surreali: su tutte la scena dei Tuareg che si alzano in piedi, con la mano sul cuore, all'inno della Germania." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 4 agosto 2007)