GUNG HO - ARRIVANO I GIAPPONESI

GUNG HO

USA 1986
Poiché la fabbrica di automobili di Hadleyville è in grave stato di crisi e tutta la città si trova nei guai, lo spigliato Hunt Stevenson viene spedito in Giappone per tentare di convicere un forte gruppo industriale a rilevare lo stabilimento e a ridare il lavoro ai suoi dipendenti. L'impresa riesce ed i severi ed efficienti giapponesi sono accolti con feste bandiere e cordiale amicizia. Tuttavia, essi fanno presto a scontrarsi con gli americani, o meglio, è il loro accentuatissimo spirito aziendale ed il loro fanatico attaccamento al lavoro a urtare contro la mentalità diversa e la diversa maniera di lavorare, che caratterizzano i meccanici di Hadleyville. Tocca sempre al buon Stevenson di correre ai ripari in tanta conflittualità e, nel suo ruolo di mediatore e di responsabile della maestranza, egli fa il possibile. Gli americani vorrebbero che il loro salario attingesse i minimi contrattuali, ma su questo punto i giapponesi fanno orecchi da mercante, sollecitando per contro puntualità e precisione estreme e lottando contro lassismo ed assenteismo, difetti per loro inconcepibili. Ma quando, per corrispondere agli ordini che arrivano da Tokio, si esigono turni massacranti ed un tetto produttivo ancor più elevato, si proclama uno sciopero. I nipponici reagiscono con una serrata. Stevenson che è ormai buon amico del dirigente giapponese (un giovane dinamico) responsabile di tutta l'operazione, si mette allora d'accordo con quest'ultimo: pur di averla vinta sulla rivendicazione salariale, gli operai arriveranno a sfornare 15.000 macchine al mese. E' una autentica follia ma, per evitare che la disoccupazione si abbatta ancora sulla città, i dipendenti accettano. A mezza bocca, tuttavia, Stevenson ha assicurato a tutti che, anche se le auto prodotte saranno un po' meno, un proporzionale aumento retributivo ci sarà comunque. E' una dichiarazione azzardosa: i giapponesi sono testardi e, di fronte alle 14.000 vetture prodotte fino al ventinovesimo giorno, si impuntano. Stevenson ha rischiato grosso e lo ammette di fronte a tutti, ma riesce ancora a trascinare gli uomini in fabbrica e, tutti insieme, in 24 ore da tregenda (mille auto!) si riuscirà a presentare all'esigentissimo presidente della società, arrivato in ispezione daTokio, tutto lo stock concordato (salvo qualche macchina tra le utime sfornate, che sembra stare sulle quattro ruote per un indiscutibile miracolo). L'aumento ci sarà e, dopo incomprensioni, mugugni e sfide, i giapponesi dovranno prendere atto della buona volontà ed impegno dei lavoratori.
SCHEDA FILM

Regia: Ron Howard

Attori: Michael Keaton - Hunt Stevenson, Gedde Watanabe - Kazahiro, George Wendt - Buster, Mimi Rogers - Audrey, John Turturro - Willie, Soh Yamamura - Mr. Sakamoto, Sab Shimono - Saito, Rick Overton - Googie, Clint Howard - Paul, Michelle Johnson - Heather, Jihmi Kennedy - Junior, Rance Howard - Mayor Zwart

Soggetto: Edwin Blum, Lowell Ganz, Babaloo Mandel

Sceneggiatura: Lowell Ganz, Babaloo Mandel

Fotografia: Don Peterman

Musiche: Thomas Newman

Montaggio: Daniel P. Hanley, Mike Hill

Scenografia: James L. Shoppe

Effetti: Stan Parks

Altri titoli:

WORKING CLASS MAN

Durata: 110

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Specifiche tecniche: SCOPE A COLORI

Produzione: DEBORAH BLUM E TONY GANZ PER PARAMOUNT PICTURES

Distribuzione: UIP (1986) - CIC VIDEO

NOTE
- IL REGISTA RON HOWARD E' ANCHE PRODUTTORE ESECUTIVO
CRITICA
"Diretto dall'ex attore Ron Howard ('Splash', 'Cocoon'), il film non sarebbe un granché - nel secondo tempo ha vari momenti di stanca - se alla satira dei giapponesi, vessatori accigliati, non accompagnasse la critica degli americani, troppo spesso approssimativi sul lavoro e talvolta inclini ai colpi bassi, se non deridesse i sindacalisti di professione, se non ricordasse il valore che ha Oltreoceano la competitività sportiva, se non affidasse il successo al carisma di un capo giovane e muscoloso che al momento opportuno sa dare l'esempio. Poiché nessuno di questi temi è trascurato, seppure nel quadro di una commedia che ha momenti farseschi, 'Gung Ho' è da tenere a mente. Sfiora sorridendo gravi questioni e suggerisce alle multinazionali come integrare i modelli di sviluppo." (Giovanni Grazzini, 'Il Corriere della Sera', 21 Luglio 1986)

"Confronto-scontro fra due culture e due mentalità in questo frizzante film del regista di 'Cocoon' e 'Splash', che si situa a metà fra commedia di costume in chiave di paradosso e farsa con punte di cinema demenziale. Il nocciolo della storia è la svendita di una fabbrica di automobili di una sonnacchiosa cittadina della Pennsylvania dove attratti dal miraggio di creare un'azienda modello calano a frotte i tecnocrati giapponesi. In poco tempo ristrutturano l'azienda ed impongono i loro ritmi, basati su un efficientismo assoluto, che si scontra - anche in maniera dura - con il pragmatismo yankee, fatto di ben altra pasta. I giapponesi chiedono agli americani la stessa dedizione al lavoro che esiste nel loro paese e quelli rispondono a modo loro, portando avanti una diversa concezione della vita e del lavoro. Alla fine prevarrà il sano ottimismo dell'American Way of Life, dopo un paio d'ore di scaramucce di stampo culturale (cioè il modo quasi antitetico di concepire il lavoro), che la regia di Ron Howard rende particolarmente vivaci. Anche l'interpretazione si rivela di buona struttura." ('Il Tempo', 9 luglio 1986)

"Spostando la cinepresa dalle acque marine di 'Splash' e dalle piscine di 'Cocoon', il regista americano Ron Howard ha deciso di immergersi nelle menti tecnologicamente disciplinate di un gruppo di giapponesi, in una tranquilla e pigra cittadina della Pennsylvania con questo 'Gung-ho', espressione che potrebbe essere tradotta con 'lavorare insieme'. E sul confronto tra due mondi e due mentalità così differenti non è certo difficile trovare del materiale per una storia che gioca sulle gags, sugli equivoci e sulla competitività più o meno celata. (...) Il film non manca di spunti divertenti come quello dell'arrivo dei giapponesi in America, accolti da applausi, grida di gioia e con l'intera popolazione che sventola bandierine del Sol Levante con la banda in sottofondo. Acquista invece un tono patetico verso il finale dove il buon Ron Howard non dimentica di dare qualche pennellata di autentico spirito reaganiano al film facendo scoprire anche ai lavoratori americani quanto sia importante lavorare sodo per il bene della comunità e quindi della Patria." (Furia Berti, 'Il Giorno', 19 Luglio 1986)