Amore carne

3/5
Del Bono riaccende il suo telefonino per riflettere su vita, cinema e realtà. Sperimentale, ma non nuovo in Orizzonti

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SVIZZERA 2011
Dalle note di regia: "Un viaggio tra un esperienza di morte e un desiderio di vita. Un viaggio che ho fatto portando con me un telefonino e una piccola camera, mezzi leggeri che mi hanno permesso di guardare e di essere guardato. Di usare la camera come un movimento degli occhi. Gli occhi che guardano camminando, si fermano, rallentano, cercano, sono insicuri, scoprono. C'e la memoria ancora presente di una carne malata ferita ma c'e anche il mio desiderio di trasformare la ferita in una nuova linfa. C'è il desiderio degli altri, il bisogno degli altri, c'è il mio cercare di cogliere con la camera quegli attimi irripetibili, veri. C'è il desiderio di raccontare attraverso un cinema che non vuole documentare la realtà ma guardarla diventare sogno, poesia. Per cercare quelle linee segrete che uniscono le cose che non capiamo. Per scoprire sceneggiature nascoste, trame nascoste che stanno dietro all'apparente casualità delle cose."
SCHEDA FILM

Regia: Pippo Delbono

Attori: Bobò , Irène Jacob, Marie-Agnes Gillot, Margherita Delbono, Sophie Calle, Marisa Berenson, Tilda Swinton, Pippo Delbono

Soggetto: Arthur Rimbaud - testi, Pier Paolo Pasolini - testi, T.S. Eliot - testi, Pippo Delbono

Fotografia: Pippo Delbono

Musiche: Michael Galasso, Alexander Balanescu, Laurie Anderson, Les Anarchistes

Montaggio: Fabrice Aragno

Durata: 75

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO

Produzione: PIPPO DELBONO PER COMPAGNIA PIPPO DELBONO, FREDERIC MAIRE PER CINEMATHEQUE SUISSE, FABRICE ARAGNO PER CASA-AZUL

Distribuzione: TUCKER FILM (2013)

Data uscita: 2013-06-27

TRAILER
NOTE
- GIRATO A: PARIGI, AVIGNONE, ISTANBUL, TORINO, BERGEN, L'AQUILA, GINEVRA, PAYOLLE, SIBIU, BIRKENAU, BUDAPEST, BUCAREST E BAYONNE.

- REALIZZATO CON IL SOSTEGNO DI MIGROS POURCENT CULTUREL, ECAL, LAUSANNE, FONDATION VAUDOISE POUR LE CINEMA, OPERA DE PARIS.

- IN CONCORSO ALLA 68. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2011) NELLA SEZIONE 'ORIZZONTI'.
CRITICA
"Un quarto di danza, uno di letteratura, uno di reportage, uno di diario. E quattro quarti di rischio, di corporalità, di poesia. Se credete che il cinema sia moribondo e che l'unica salvezza ormai siano le serie tv con i loro tempi dilatati da romanzo ottocentesco, provate a immergervi in 'Amore carne' di Pippo Delbono, finalmente in sala dopo lunga anticamera. (...) Anche se forse la sala non è nemmeno il luogo ideale per un'esperienza così intima, perché 'Amore carne' è un viaggio nei recessi più oscuri del suo autore, regista di teatro prima che di cinema, girato quasi integralmente con il cellulare. Questo mezzo così piccolo e potente che sembra fatto apposta per quella che oggi si chiama autofiction. Bassa definizione, alta intensità: le immagini girate e talvolta 'rubate' da Delbono trasformano il mondo in spazio interiore, e viceversa. Con un passo apparentemente svagato che nasconde una coerenza ferrea. (...) Delbono è sieropositivo da anni e tutto il film è sospeso a questo dialogo con la malattia, con ciò che toglie e ciò che rivela. Dunque non smette di interrogare le presenze più care, i volti più familiari. (...) l'étoile della danza Marie Agnès Gillot, (...) in sottofinale ci regala un assolo perfetto per il film. Delbono infatti usa tutto, si appropria di tutto, ma tutto diventa nuovo, Eliot, Rimbaud, perfino un lungo e magnifico brano di Pasolini sulle madri, usato per coprire la vecchia madre che brontola in cucina, sembra nato apposta. Difficile andare più lontano, con mezzi così semplici. Il videofonino ha rivoluzionato l'informazione. Potrebbe creare anche una zona espressiva nuova. Ma deve trovare i suoi canali di diffusione." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 11 luglio 2013)

"Girato col telefonino, il secondo film di Delbono, talento off del teatro, espone il format esistenziale del regista che girovaga intorno alla coscienza infelice, fa i conti con le «sue» donne, l'amata madre, l'amata Bausch, l'amata Swinton, ma dando sempre la precedenza alla forma esibizionistica del racconto in soggettiva interiore, dove al grido incubo s'alterna l'anestesia, corrompendo ogni sicurezza cine-logica." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 4 luglio 2013)

"Un film girato col telefonino e con una piccola telecamera: ma non è questione di tecnologia, se non nel modo in cui 'Amore Carne' ne modella le possibilità a un sentimento inquieto, e a una scommessa forse impossibile, che è cogliere l'imprevisto, e l'imprevedibile, le epifanie della vita, belle o brutte che siano poco importa. (...) Autore di teatro, e da qualche anno (...) attore di cinema (...), Pippo Delbono è anche regista che ha trovato finora una sua dimensione nell'indipendenza della tecnologia, girando i suoi film (...), con il telefonino. Ed è una dimensione in cui la scelta del mezzo dichiara una corrispondenza poetica e politica con la materia del racconto. Non si potrebbero immaginare i suoi film, infatti, in altro modo, ingabbiati nelle ripetizioni di un set, o con una troupe pesante, perché proprio come avviene in scena, nelle sue immagini Delbono inietta il corpo, la voce, il tumulto dei pensieri e delle parole, la libertà di una trama narrativa e visuale che dichiara un'idea di cinema forte e coerente. 'Amore Carne', che arriva in sala grazie alla Tucker dopo le uscite sparse in diverse città italiane (...) è una ballata struggente e appassionata in cui il regista, alla prima persona, percorre luoghi e figure passate e presenti che sono pezzi importanti della sua esistenza. Con un andamento ondivago, come i pensieri che fuggono guardando fuori dalla finestra in una giornata di pioggia. Ma il suo non è uno sguardo compiaciuto, tentato dal narcisismo di chi si mette al centro; al contrario è quasi un training, una sorta di danza in cui le immagini mettono alla prova la propria natura, la materia del loro essere nell'incontro/scontro col mondo, la realtà, la sfera privata e quella collettiva. (...) Trasportati dalla musica di Alexander Balanescu, e dai passi impalpabili, sospesi tra sofferenza e respiro, di Marie Agnes Gilliot, la stella dell'Opera di Parigi ... (...) Delbono urla, sussurra, si lancia in un galoppo di parole, come un ragazzino che cerca di affrontare qualcosa di spaventoso, e che nel gioco o in una messinscena, rende commedia anche le cose più dolorose. L'autofinzione è quasi impudica, malinconica e insieme attraversata dall'umorismo; si parla di vita, dunque di morte, e come un mago shakespeariano Delbono rischia e osa, e la realtà è già divenuta narrazione. (...) Non ci sono risposte e nemmeno certezze, Delbono ci cattura, ci fa ridere, piangere, depista le abitudini dei nostri sguardi. Ci interroga senza aggredirci, e interroga il suo mezzo, e la sua ricerca di artista." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 4 luglio 2013)

"Realizzato con la telecamera incorporata in un cellulare, come il precedente 'Paura', il nuovo film di Pippo Delbono è tutto quel che resta del cinema moderno. Non che sia poco, anzi; soltanto è un esempio troppo raro di cinema lirico, libero, soggettivo, ancora declinato in prima persona all'interno della spersonalizzazione cinematografica dilagante. Un po' Godard, un po' Moretti (vedi l'episodio in cui si sottopone a esami medici), Delbono dà il meglio nel brano pasoliniano dedicato a sua madre; lascia amabilmente spazio ai ricordi di Irène Jacob; fa dialogare Marisa Berenson col suo attore sordomuto Bobò; alterna volti anonimi con quelli celebri di Pina Bausch o Tilda Swinton. Un film-diario, ma anche un film di viaggio risolto in un'unica ripresa soggettiva, dove intravediamo il volto del regista solo in uno specchietto retrovisore. Se nell'altro film fatto col telefonino ci aveva mostrato la paura di un Paese - l'Italia- vuoto e inselvatichito, qui ci parla senza illusioni della nostra debolezza, della nostra finitezza. Ma anche dell'amore come unica alternativa possibile alla barbarie e al non-senso." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 27 giugno 2013)

"Il titolo, 'Amore carne', prende ispirazione da un poema di Rimbaud, uno dei poeti (con Pasolini ed Eliot) citati nel film: ma questo struggente diario di vita, girato da Pippo Delbono con i mezzi leggeri di un telefonino e di una minuscola videocamera, potrebbe intitolarsi Mia madre, perché è la sua figura a permeare il film. Sia nelle crepuscolari scene in cui, seduta in cucina, dialoga con il figlio mentre la voce fuori campo di lui la definisce, quanto amorosamente!, «servile» e «noiosa»; sia laddove non appare. Perché è stata la scomparsa della mamma a liberare i fantasmi interiori dell'infaticabile teatrante ligure, fino a quel momento attento a non ferirne la sensibilità con troppe esplicite rivelazioni sulla propria omosessualità e sieropositività. Forte di una necessità di confessione e testimonianza priva di qualsiasi connotazione esibizionista, Delbono parte da un tappeto di rose allestito in omaggio all'appena defunta Pina Bausch e prosegue montando ad arte i frammenti di alcuni mesi della sua esistenza girovaga da Parigi all'Aquila a Budapest. Un mosaico che è una specie di dolce naufragar nel mare di una vita sospesa al pensiero della morte." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 27 giugno 2013)

"Quando è stato presentato a Venezia l'anno scorso, la «vulgata» giornalistica si è subito venduta 'Amore carne' come il film «d'autore» girato con il telefonino. È la verità, nel senso che Delbono ha filmato con uno smart-phone momenti della propria quotidianità e incontri con amici famosi e non, dalle dive Swinton e Berenson al musicista Alexander Balanescu. Ma la tecnologia a monte del film è un fatto quasi secondario, e persino rischioso: sarebbe terribile (per noi critici e per gli spettatori) se ogni squilibrato in possesso di un telefonino girasse un film raccontandoci gli affari propri. Come sempre, dipende tutto dall'uso dei nuovi mezzi espressivi: con uno come Pippo Delbono la cosa ha un senso, con il primo che passa francamente no. Anche l'auto-messinscena di Delbono ha momenti che creano (volutamente) imbarazzo. Quando va dal medico e filma un dialogo sul proprio stato di salute visibilmente «rubato» (il telefono è posato sul tavolo, l'inquadratura è sghemba e non cambia mai) si ha la sensazione di essere, più che spettatori, intrusi. Ma ben presto il gioco si chiarisce, si stabilizza e diventa affascinante. Fra le pagine di diario che l'autore ci propone, la più toccante non riguarda un personaggio famoso o comunque appartenente al mondo artistico (come l'attore sordomuto Bobò, complice di Delbono da molti anni anche in teatro). È l'incontro con la mamma, che si rivela una donna arguta e divertente. Film particolare, 'Amore e carne' per amatori. Farlo uscire quasi a luglio è commercialmente un suicidio, ma chi conosce Delbono e ama il suo lavoro Io rintraccerà di sicuro. Gli altri, chissà." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 27 giugno 2013)

"Un provocatorio e poetico viaggio per l'Europa girato con iPhone e minicamera alla scoperta del senso ultimo delle cose. In altre parole dell'esistenza. Nel percorso tra Parigi, Torino, Istanbul, L'Aquila, Avignone e altre città 'chiave' per la sua poetica, Pippo Delbono incontra grandi artisti viventi (Swinton, Berenson, Jacob, Laurie Anderson, Balanescu) e la memoria di alcuni appena scomparsi, come l'amica di sempre Pina Bausch, a cui dedica un omaggio di rara intensità emotiva. Avvalendosi di testi propri e di T.S. Eliot, Pasolini e Rimbaud, l'autore cine-teatrale ligure non 'manca' all'appuntamento intimo con sua madre Margherita, che vediamo immortalata in sequenze casalinghe poco prima di morire. Un lavoro lirico, 'arrabbiato' e totalizzante laddove Del bono non tradisce la propria indole a mostrare l'esperienza personale come punto di partenza e arrivo del gesto artistico, mai prevedibile, sempre sconvolgente. Applaudito a Venezia 2012, esce in contemporanea nelle sale francesi." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 27 giugno 2013)

"Da svenire per la noia. Anche se il film (?) dura un'ora e un quarto. L'attore e regista Pippo Delbono va a caccia di immagini, riprendendo tutto con il cellulare. In cucina con la madre o all'Opera di Parigi, chiacchierando con Marisa Berenson o con Irène Jacob. Insomma, uno sbadiglio infinito. Bei tempi, quelli in cui il telefonino era usato solo per telefonare." (Massimo Bertartelli, 'Il Giornale', 27 giugno 2013)