Un mondo fragile

La tierra y la sombra

4/5
Tra nostalgia e indignazione, il poema bucolico e visivamente sontuoso di Acevedo: da Camera d’Or

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BRASILE 2015
Alfonso, un vecchio contadino, dopo diciassette anni torna dalla sua famiglia per accudire il figlio Gerardo, gravemente malato. Al suo ritorno, ritrova la donna che era un tempo la sua sposa, la giovane nuora e il nipote che non ha mai conosciuto, ma il paesaggio che lo aspetta sembra uno scenario apocalittico: vaste piantagioni di canna da zucchero circondano la casa e un'incessante pioggia di cenere, provocata dai continui incendi per lo sfruttamento delle piantagioni, si abbatte su di loro. L'unica speranza è andare via, ma il forte attaccamento a quella terra rende tutto più difficile. Dopo aver abbandonato la sua famiglia per tanti anni, Alfonso ora cercherà di salvarla.
SCHEDA FILM

Regia: César Augusto Acevedo

Attori: Haimer Leal - Alfonso, Hilda Ruiz - Alicia, Marleyda Soto - Esperanza, Edison Raigosa - Gerardo, José Felipe Cárdenas - Manuel

Sceneggiatura: César Augusto Acevedo

Fotografia: Mateo Guzmán

Montaggio: Miguel Schwerdfinger

Scenografia: Marcela Gómez Montoya

Altri titoli:

Land and Shade

Durata: 94

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: (1:1.85)

Produzione: BURNING BLUE, IN COPRODUZIONE CON CINÉ-SUD PROMOTION, TOPKAPI FILMS, RAMPANTE CINE, PRETA PORTÊ FILMES

Distribuzione: SATINE FILM

Data uscita: 2015-09-24

TRAILER
NOTE
- PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 54. 'SEMAINE DE LA CRITIQUE', HA VINTO LA CAMÉRA D'OR DEL 68. FESTIVAL DI CANNES (2015) E IL FRANCE 4 VISIONARY AWARD.
CRITICA
"Acevedo, che firma anche la sceneggiatura, non nasconde il retroterra sociale di inefficienza e di sfruttamento all'origine di quella misera vita quotidiana ma piuttosto che allargare l'orizzonte del film, sceglie di concentrarsi sulle conseguenze che quelle ingiustizie hanno sui protagonisti. Non si vede mai il misterioso capo della piantagione che ritarda i pagamenti e sceglie chi far lavorare o no né si vede il medico che rifiuta di ricoverare Gerardo e di fatto lo condanna a morire: la macchina da presa inquadra solo i volti di chi subisce quelle decisioni per farci vedere l'effetto di quelle parole e quelle scelte. Riuscendo coi anche a farci capire (se non proprio a spiegarci) la testardaggine della vecchia Alicia che non vuole abbandonare la casa e che ha trasmesso al figlio la medesima «religione» del dovere, del lavoro e della sofferenza. Da seguire anche a costo della propria vita. Una scelta narrativa che impone una scelta estetica coerente e conseguente, fatta di inquadrature essenziali e insistite, che spesso non hanno bisogno di dialoghi e che rischia di frastornare lo spettatore abituato alla frenesia pirotecnica del cinema usa-e-getta. È evidente che qui siamo su un altro pianeta, dalla parte di un cinema che trova la sua ragion d'essere in un linguaggio la cui forza va cercata nell'inquadratura più che nel montaggio, nella registrazione del tempo più che sulla sua accelerazione. Qualcuno lo chiama spregiativamente «cinema da festival», io preferisco chiamarlo cinema e basta." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 22 settembre 2015)

"(...) un paesaggio che è puro 'realismo fantastico' (infatti siamo in Colombia, patria di Marquez), anche se è tutto vero. Vere le nubi perenni di cenere che avvolgono la zona (le piantagioni vengono incendiate regolarmente). Vera la spietatezza del lavoro nei campi. Veri i sentimenti primari e potentissimi espressi da attori non professionisti che danno linfa e autenticità a ogni secondo di questo controllatissimo esordio, caméra d'or a Cannes. (...) Rubiamo a Wenders (...) una citazione da Béla Balász perfetta anche per questo film: 'Il cinema è capace di mettere al sicuro l'esistenza delle cose'. Ogni tanto è ancora vero, per fortuna." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 24 settembre 2015)

"(...) ha vinto tutto a Cannes 2015 (...) e non c'è da stupirsene: il regista César Acevedo prende dalla sua famiglia, dalla sua terra (Valle del Cauca) e filma con grazia, curando pittoricamente la composizione del quadro, lasciando alla vita il tempo di accadere. Non è calligrafismo o esercizio di stile, perché la forma 'fredda' riscalda gesti, sentimenti, dolori: ci siamo anche noi in quella casa, in quel desiderio di fare i conti con la vita prima che sia troppo tardi. Verga e Tarkovskij abitano qui: non perdetelo. PS: Acevedo ha 28 anni." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 24 settembre 2015)

"(...) struggente opera prima del ventottenne colombiano César Augusto Acevedo. Il film (...) arriva (...) nelle sale dopo un trionfale percorso festivaliero (...)". (Oscar Cosulich, 'Il Mattino', 24 settembre 2015)

"Micidiale pizza colombiana, puntuale premio a Cannes per il miglior esordio. (...) Ritmo da tartaruga zoppa e inquadrature insistite su oggetti svariati. Molte le scene buie, in cui non si vede nulla. Senza dubbio le più appassionanti." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 24 settembre 2015)

"Con una fiducia di cuore e sguardo che soltanto i giovani possono spendere rischiando tutto, il 30enne Acevedo reinventa la sua biografia in questo nucleo vittima della trasformazione del lavoro, toccando una chiara profondità tragica priva di vittimismo, in una purezza di immagine alimentata dalla materia a luce naturale: i campi accecanti della fatica, gli interni oscuri, la polvere, l'albero secolare totem del tempo della natura, un aquilone, ma ogni scelta estetica è nella storia e nei personaggi, di cui l'inquadratura recepisce ragioni e sentimenti. Esordio sorprendente, richiama le parole di Steinbeck e Juan Rulfo." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 25 settembre 2015)