Rachel sta per sposarsi

Rachel Getting Married

Demme torna alla fiction con un toccante album di famiglia. E una Hathaway in stato di grazia

Leggi la recensione

USA 2008
Kym Buchmann torna a casa per il matrimonio di sua sorella Rachel. Ragazza dalla lingua tagliente e dai modi esuberanti, Kym, con i suoi atteggiamenti aggressivi e le reazioni esagerate, fa riemergere conflitti familiari sopiti da tempo, trasformando quello che doveva essere un piacevole fine settimana di festeggiamenti tra amici e parenti, in un condensato di tensioni e crisi personali.
SCHEDA FILM

Regia: Jonathan Demme

Attori: Anne Hathaway - Kym, Rosemarie DeWitt - Rachel, Mather Zickel - Kieran, Bill Irwin - Paul, Anna Deavere Smith - Carol, Anisa George - Emma, Tunde Adebimpe - Sidney, Debra Winger - Abby, Jerome Le Page - Andrew, Beau Sia - Norman Sklear, Dorian Missick - Dorian Lovejoy, Kyrah Julian - Sorella di Sidney, Carol Jean Lewis - Madre di Sidney, Herreast Harrison - Nonna di Sidney, Gonzales Joseph - Cugino di Sidney, Paul Lazar - Al, Donald Harrison Jr. - Se stesso, Fab 5 Freddy - Se stesso, Robert W. Castle - Giudice Castle

Sceneggiatura: Jenny Lumet

Fotografia: Declan Quinn

Musiche: Zafer Tawil, Donald Harrison Jr.

Montaggio: Tim Squyres

Scenografia: Ford Wheeler

Arredamento: Chryss Hionis

Costumi: Susan Lyall

Effetti: Eric J. Robertson, Brainstorm Digital

Durata: 113

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Specifiche tecniche: 35 MM

Produzione: CLINICA ESTETICO, MARC PLATT PRODUCTIONS

Distribuzione: SONY PICTURES RELEASING ITALIA

Data uscita: 2008-11-21

TRAILER
NOTE
- IN CONCORSO ALLA 65. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2008).

- ANNE HATHAWAY E' CANDIDATA AL GOLDEN GLOBE 2009 COME MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA DI FILM DRAMMATICO.

- ANNE HATHAWAY E' CANDIDATA ALL'OSCAR 2009 COME MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA.
CRITICA
"Le condizioni favorevoli c'erano tutte: il ritorno di un regista-produttore di vaglia che, dopo i remoti exploit di 'Il silenzio degli innocenti', 'Philadelphia' e 'Qualcosa di travolgente', ultimamente s'era confinato nel ghetto dei documentari politici o musicali; una sceneggiatura firmata dalla combattiva e progressista teatrante/insegnante Jenny Lumet, figlia del venerabile Sidney; il cast capeggiato da una stellina in ascesa come Anne Hathaway e impreziosito dalla presenza di Debra Winger, data per scomparsa ma fino a metà degli anni Novanta beniamina dei registi Usa e pluricandidata ai Golden Globe e agli Oscar. Poi, però, il film s'è rivelato una gran delusione, veristico e frammentario 'alla maniera di' Altman e Cassavetes ma, al contrario dei rispettivi capolavori, incapace di comunicare emozioni inedite, dominare il meccanismo narrativo e, di conseguenza, sfuggire alle trappole della noia d'autore". (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 4 settembre 2008)

"Ci risiamo. Ecco un'altra famiglia disastrata (o disfunzionale, come va di moda dire), ecco rancori e incomprensioni riaffiorare in una circostanza apparentemente lieta come una festa di nozze, ecco il fantasma di un'antica tragedia aleggiare tra brindisi, balli e lazzi. Se poi piomba nella borghesissima casa della sposa l'imbarazzante sorella, in libertà vigilata da un rehab (la clinica specializzata in disintossicazioni) con molti tatuaggi, un carico di sensi di colpa e la voglia disperata di farsi accettare, la faccenda si complica. E 'Rachel Getting Married' di Jonathan Demme da commedia con i suoi dialoghi serrati, gli isterismi dei personaggi e stereotipi da film sulla festa di matrimonio (un genere consolidato, da Altman a Susan Bier), vira sul drammatico. Con finale consolatorio, però. Abbiamo celebrato un matrimonio interrazziale, ora possiamo provare a superare i problemi". (Gloria Satta, 'Il Messaggero', 4 settembre 2008)

"Demme ha ottenuto un dramma aperto che combina la passione per Altman (non solo quello di 'Un matrimonio') e la fiducia nel cinema documentaristico, nel quale il regista di 'Il silenzio degli innocenti' sta spendendo questa parte di carriera". (Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale', 4 settembre 2008)

"Sarebbe sbagliato vedere 'Rachel Getting Married' come un film ad effetto, con lo scheletro nell'armadio. E' molto più semplice e complicato di così. E' il ritratto di una famiglia borghese e aperta come tante altre che cova le sue disgrazie e le sue gioie. Un microcosmo in cui lo spettatore può trovare di tutto, un piccolo palcoscenico non manipolato dalla visione del regista, ma aperto al contributo di chi osserva. Ognuno, in 'Rachel Getting Married' può trovare le proprie più profonde emozioni. Un miracolo di cinema, debitore all'esperienza documentaristica dell'ultimo Demme, che sembra spiare la realtà (alla Altman, ma anche alla Arthur Penn) rendendola pregna di materia invisibile a occhio nudo. Tanto questo è vero, che uno dei momenti più strazianti del film è a nostro avviso una sequenza priva di apparente significato: Kym nel giorno del matrimonio intercettata dalla macchina da presa mentre è ferma nel giardino, le braccia e le gambe un po' aperte, l'aria spersa e spaventata vicino a un cane che lecca briciole di torta e a un ragazzino che corre dietro una palla. Lei, congelata e impaurita in mezzo alla vita che pulsa. Da questo piccolo gioiello di nulla, Demme poi ti conduce per mano fino all'altro estremo, di fronte a Kym e a sua madre che si prendono a cazzotti accusandosi reciprocamente della morte del piccolo Ethan. Un piccolo magnifico filmino familiare. Demme è riuscito in pieno nell'intento, regalandoci il film più bello (sino ad ora) di questo altalenante concorso. Con molta educazione, senza smargiassate, ci ha squarciato l'anima permettendoci di dare un'occhiata dentro". (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 4 settembre 2008)

"Sidney Lumet diresse 'La parola ai giurati'; la figlia Jenny, di madre nera, ha scritto - esordiente
di mezz'età - per Jonathan Demme 'Rachel Getting Married' ('R. si sposa'). Ne è derivato un film
che potrebbe intitolarsi 'La parola agli invitati'. È infatti l'ennesimo di impostazione teatrale, iper-parlato, che l'abilità di Demme rende un film molto cinematografico, in chiave collettiva e semidrammatica, sul regolamento di conti in occasione delle nozze di una sorella (Rosemarie DeWitt) e del ritorno dell'altra (Anne Hathaway) dal centro di rieducazione dov'era rinchiusa per droga". (Maurizio Cabona, 'Il Giornale, 4 settembre 2008)

"L' elemento inquietante nel film di Demme è la protagonista Kym (Anne Hathaway), che lascia l'ospedale di disintossicazione giusto in tempo per partecipare al matrimonio della sorella Rachel (Rosemarie Dewitt). (...) Scritto dalla figlia di Sidney Lumet, Jenny, il testo ha convinto Demme per 'il suo rifiuto delle regole codificate di Hollywood' e in effetti quella che sembra una specie di lieto fine o, meglio, una riconciliazione generale, viene contraddetta dall' ultima mezz'ora del film. Più curiosa è l'evidente voglia di improvvisare - con la recitazione ma anche con la musica che viene suonata in scena - che ha spinto Demme a girare con una macchina a mano molto mobile e nervosa, dove gli attori danno l'impressione di una totale libertà d' iniziativa. Che unita alla buona prova di tutto il cast (la Hathaway è splendidamente lontana dal glamour del 'Diavolo veste Prada', ma anche una rediviva Debra Winger nei panni della madre divorziata e complessata è notevole), fanno di questo film un bel modo per rimediare al mezzo passo falso di 'Manchurian Candidate', ma non sufficiente ancora per non far rimpiangere il grande regista che era stato negli anni '80 e '90". (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 4 settembre 2008)

"Demme, per sua stessa ammissione, si è dato intenzionalmente i modi quei 'filmini di famiglia' che si girano ormai in digitale, con apparecchietti spesso ballerini. Così tutte le pagine corali hanno sempre una immediatezza piacevole che consente subito di fare il punto, anche solo di sfuggita, su questo o quel membro della famiglia e sui tipi più colorati e vari dei loro invitati. Mentre le pagine che danno spazio a Kim, ai suoi tormenti, ai suoi rimorsi e, spesso, alle sue collere da guastafeste, si affidano quasi soltanto a climi raccolti e sommessi, in cui, pur tra il frastuono scopertamente euforico di quella riunione, si fanno strada, sottilmente, gli accenti del dramma. Li esprime con finezza la recitazione di Annie Hathaway che sa disegnarsi in viso una serie continua di ombre e di pensieri cupi. Pur con meditata misura". (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 4 settembre 2008)

"Jonathan Demme e Jenny Lumet, regista e giovane sceneggiatrice figlia del regista Sidney, riseppelliscono l'insuperabile disastro familiare nei sorrisi, nel silenzio e nella fuga, ma nell'intreccio di folla di invitati multietnici, e nel matrimonio stesso, tra la bianca Rachel e il nero Sidney, raccontano di una nuova società americana, democratica e aperta, quella che ha puntato tutte le sue speranze di vittoria in Obama". (Natalia Aspesi, 'la Repubblica', 4 settembre 2008)

"Tutto ciò che di buono (e c'è del buono) c'è in 'Rachel Getting Married' è merito della regia, e soprattutto del metodo - molto alla Altman - di Demme, che ha radunato il cast in una villa e ha girato il film, parole sue, come un 'home-movie, un filmino di matrimoni, o un film Dogma'". (Alberto Crespi, 'L'Unità', 4 settembre 2008)

"Rachel Getting Married' segna, per certi versi, il ritorno di Demme alla narrativa distinto, però da un uso non hollywoodiano ossia levigato della macchina da presa, sembra finita nelle mani di un cineasta della domenica che tutto ama riprendere. Esperimento senza dubbio interessante ma non so quanto redditizio". (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 4 settembre 2008)

"L'ultimo capitolo della eclettica e indecifrabile traiettoria artistica di Demme - quasi nulla accomuna 'Il silenzio degli innocenti', il thriller fantapolitica 'The Manciurian Candidate' e il documentario 'The Agronomist' - è anche senza dubbio il più felice. Girato quasi in tempo reale, usando la camera a mano e le luci naturali, il film riesce ad ottenere con magica naturalezza tutto ciò che gli arcigni adepti del Dogma 95 hanno inseguito a lungo e invano. Ma la vera ragione della rinascita di Demme sono gli attori, così in parte da sembrare davvero imparentati". (Guido Vitiello, 'Il Riformista', 4 settembre 2008)