La nave dolce

4/5
Chi ha paura della Vlora? Noi. E Daniele Vicari ce lo ricorda: Fuori concorso, dentro la politica

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ITALIA 2012
Il 7 agosto del 1991 la Vlora, mercantile di ritorno da Cuba, arriva a Durazzo con la stiva piena di zucchero. Durante il pieno delle operazioni di scarico, una marea di persone prende letteralmente d'assalto la nave: uomini, donne, ragazzi e bambini cercano di salire in tutti i modi. Eva e il marito si arrampicano lungo le cime d'ormeggio; Kledi, un ragazzino che si trova lì per caso, incuriosito segue la folla diretta verso la nave; il piccolo Ali sale a bordo con la famiglia e, lo stesso, fa il giovane regista Robert insieme ai compagni di studi. L'enorme folla costringe, allora, il capitano Halim Malaqi a invertire subito la rotta in direzione dell'Italia. Il viaggio si rivela un incubo: il motore centrale è in avaria, non c'è cibo né acqua, solo zucchero. Aggiunto a tutto questo, il sole d'agosto brucia il pontile. La notte, altrettanto, non risparmia problemi: il radar è fuori uso, ma il capitano fortunatamente riesce ad evitare una collisione. Finalmente l'8 agosto, la nave, carica di ventimila persone, giunge al porto di Bari. Visto dal porto, il mercantile appare straboccante di gente. Senza aspettare che le operazioni di attracco siano ultimate, qualcuno si butta subito in mare per arrivare a nuoto sulla terraferma; c'è, poi, chi intona cori di "Italia, Italia" uniti a segni di vittoria simulati con le dita. Tuttavia, quanto succede dopo non è quello che ognuno di quegli albanesi avrebbe sperato. Dopo lunghe operazioni di sgombero del porto, tutti vengono rinchiusi in uno stadio di calcio per poi essere rimpatriati. La maggior parte di coloro che sono saliti su questa nave sono stati rispediti indietro ma, a distanza di ventun'anni, tanti continuano a sfidare la sorte tentando la traversata.
SCHEDA FILM

Regia: Daniele Vicari

Attori: Eva Karafili - Se stessa, Agron Sula - Se stesso, Halim Milaqi - Se stesso, Kledi Kadiu - Se stesso, Robert Budina - Se stesso, Eduart Cota - Se stesso, Ervis Alia - Se stesso, Ali Margjeka - Se stesso, Giuseppe Belviso - Se stesso, Nicola Montano - Se stesso, Domenico Stea - Se stesso, Fortunata Dell'Orzo - Se stessa, Luca Turi - Se stesso, Raffaele Nigro - Se stesso, Luigi Roca - Se stesso, Maria Brescia - Se stessa, Vito Leccese - Se stesso

Soggetto: Luigi De Luca (II) - idea, Silvio Maselli - idea, Ilir Butka - idea, Antonella Gaeta, Daniele Vicari

Sceneggiatura: Antonella Gaeta, Benni Atria, Daniele Vicari

Fotografia: Gherardo Gossi

Musiche: Teho Teardo

Montaggio: Benni Atria

Suono: Valentino Giannì - presa diretta, Gianluca Costamagna - presa diretta

Durata: 90

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO SOCIALE

Specifiche tecniche: DCP

Tratto da: idea di Gigi De Luca, Silvio Maselli, Ilir Butka

Produzione: NICOLA GIULIANO, FRANCESCA CIMA, CARLOTTA CALORI, SILVIO MASELLI PER INDIGO FILM, APULIA FILM COMMISSION, CON RAI CINEMA, IN CO-PRODUZIONE CON SKA-NDAL PRODUCTION, IN COLLABORAZIONE CON ARCHIVIO CENTRALE STATALE DEL FILM DI ALBANIA,, TELENORBA, DIGITALB

Distribuzione: MICROCINEMA - DVD: CG HOMEVIDEO/MUSTANG (2013)

Data uscita: 2012-11-08

TRAILER
NOTE
- PROIEZIONE SPECIALE, FUORI CONCORSO, ALLA 69. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2012), HA RICEVUTO IL PREMIO FRANCESCO PASINETTI (SNGCI) COME MIGLIOR DOCUMENTARIO E IL BIOGRAFILM LANCIA AWARD (EX AEQUO CON "BAD25" DI SPIKE LEE).
CRITICA
"Daniele Vicari, animato dalla stessa passione civile con cui aveva realizzato il suo bellissimo 'Diaz', ci ha rievocato quei giorni con un così alto senso del cinema che gli ha permesso di costruire un film solo con materiali di repertorio, soprattutto televisivo, e con interviste per far commentare quasi dal vivo lo svolgersi di quegli eventi, dalla partenza dei ventimila da un'Albania oppressa dal giogo di Enver Hoxha all'arrivo in una Italia non ancora pronta a quella invasione di clandestini e già votata al principio del respingimento. Vicari, dopo aver reperito i materiali in magazzini e in archivi sia qui da noi sia in Albania, con un'operazione addirittura geniale di montaggio e grazie a una fotografia che ha potuto valersi di supporti digitali, ci ha ridato quei giorni all'insegna rigorosa di una verità frutto di autentiche documentazioni. Con la felice idea di rivolgersi oggi ad albanesi ed italiani che allora erano stati protagonisti di vicende tutte personali da cui, molti, erano stati segnati per la vita. Li ascoltiamo uno dopo l'altro, sempre su un fondo bianco che, anziché contrastarvi, aderisce in pieno al fluire delle immagini di repertorio. Quelli che erano bambini, quelli che si sono rifatti una vita in Italia, il comandante del mercantile costretto a mutar rotta dalla minaccia di un punteruolo, donne fuggite con mariti e fratelli, studenti, macchinisti delle ferrovie, quei rappresentanti locali delle istituzioni italiane cui i duri ordini impartiti da Roma erano apparsi inumani. Fino ad un quadro esauriente di tutti quei fatti, sia nel pubblico sia nel privato. Con una obiettività nella loro esposizione all'insegna del reale che è il merito maggiore del film. Testimonianza ancora una volta delle doti cinematografiche di Vicari e dei suoi impegni morali". (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo Roma', 8 novembre 2012)

"Mentre gli archivi del mondo intero si gonfiano di immagini, crescono i documentari che cercano il senso di quei materiali grazie alla distanza storica. (...) L'impatto delle immagini d'epoca, contrappuntate dai ricordi di molti di quei profughi (fra cui il ballerino Kledi Kadiu), è fortissimo. (...) Qui Vicari regista di 'Diaz', si fa ideologico. E' vero, la tragedia della Vlora anticipa vergogne future, ma le immagini poderose del film, da vedere assolutamente, parlano da sole. Era inutile sottolinearlo". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 8 novembre 2012)

"Il regista, documentarista di valore, concentra lo sguardo sull'episodio e non spiega troppo contesto, provenienza, storia, prima e dopo. Dei testimoni che fa parlare (in quella massa c'era anche il futuro ballerino di successo Kledi Kadiu) non ci dice la sorte successiva". (Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 8 novembre 2012)

"Un poema per immagini e parole, fotogrammi di un reale che ci perseguita. Il documentario, che arriva ora in sala (passaggio abbastanza raro sul nostro mercato) è un thriller denso di emozioni nella ricostruzione dell'avvenimento che anticipò gli sbarchi sulle coste italiane, prima grande prova dei respingimenti di massa, e che ci mostra un «clandestino» gioiosamente accalcato sull'imbarcazione, fin sopra i pennoni, ragazzi perlopiù in costume da bagno, urlanti «Viva l'Italia», spinti dall'idea di libertà e di un paese conosciuto sugli schermi tv. (...) 'La nave dolce' diventa così uno struggente poema per immagini e parole, fotogrammi di un reale che ci perseguita, soprattutto nell'incursione in scena dell'allora presidente della repubblica, Francesco Cossiga, che in un scena da film horror si scaglia contro il sindaco di Bari, il disumano e l'umano, e lo minaccia di ritorsioni perché ha accolto quei ragazzi, i nostri vicini, i fratelli dell'altra sponda. Sarà difficile trovare un'inquadratura più crudele e insostenibile". (Mariuccia Ciotta, 'Il Manifesto', 8 novembre 2012)

"'La nave dolce' di Daniele Vicari rievoca la vicenda del cosiddetto «sbarco dei 20mila», quando nel torrido 8 agosto 1991 approdò al porto di Bari una nave, la Vlora, stracolma di profughi in fuga dall'Albania comunista, distrutti da caldo, fame e fatica. (...) e Vicari è così abile che 'La nave dolce' si segue come un film di finzione capace di trasmettere l'emozione del reale". (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 8 novembre 2012)

"Visto a Venezia, 'La nave dolce' è stato una doppia conferma: del talento di Daniele Vicari, che dopo 'Diaz' è ufficialmente uno dei registi di punta del nostro cinema, e dell'ottima salute di cui gode il documentario italiano. Del resto Vicari ha cominciato come documentarista ed è bello che dopo un film complesso (politicamente e produttivamente) come 'Diaz' sia ritornato alle origini. Per altro, ad una lettura fra le righe, 'La nave dolce' è perfettamente in linea con 'Diaz', compone una sorta di dittico sulle imperfezioni della nostra democrazia, sulle falle - parlando di una nave ci sembra la parola più adatta - che la nostra convivenza civile (o incivile) ha mostrato negli ultimi vent'anni. (...) Film da vedere, per non dimenticare". (Alberto Crespi, 'L'Unità', 8 novembre 2012)

"Partiamo dall'aggettivo «dolce»: come si può mai definire «dolce» una nave in cui nel 1991 hanno viaggiato, pigiati come insetti e assetati come tra le fiamme dell'inferno, ventimila albanesi in cerca di una giustizia planetaria? Eppure la «Vlora», la nave del primo grande esodo da Durazzo alla Puglia, era davvero «dolce» perché trasportava anche zucchero, insieme ai disperati che erano a bordo, partiti con le loro storie amare. Giovani, donne, bambini, pronti a gridare «Italia!» già vedendo le prime luci di Brindisi, pronti a succhiare lo zucchero che era nelle stive, pur di non restare stremati dal caldo e dalla fame. Ma l'amaro venne dopo: quando questa gente che si lanciava dalla nave e che sognava l'America, fu rinchiusa nello Stadio della Vittoria o meglio, della Sconfitta della civiltà. Il docufilm La nave dolce di Daniele Vicari, il regista di 'Diaz', ricostruisce tutto quello che avvenne in quella settimana infuocata di agosto. (...) Mancano molti volti, mancano alcune pagine, ma un film non può raccontare tutto. (...) Due parole messe nei titoli di coda spiegano tutto il fallimento di quell'odioso e inutile rimpatrio di albanesi in mutande: all'epoca in Italia c'erano circa 450.000 extracomunitari e oggi sono invece 5 milioni. Il fiume non si poteva fermare. Il film va dedicato a questi numeri e a quelli sconosciuti di quanti hanno perso la vita in mare, inghiottiti prima di toccare terra e di dire «Vittoria». (Enrica Simonetti, 'La Gazzetta del Mezzogiorno', 8 novembre 2012)

"II film è il toccante racconto di una straziante odissea umana e della vergognosa violazione dei diritti umani subita dai profughi nel nostro paese". (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 8 novembre 2012)

"L'impetuoso Daniele Vicari fa parlare (più volte) 17 testimoni della più affollata, e pacifica, invasione sulle coste italiane. Intervallate con crudeli immagini d'epoca. Il nostro governo fa una figuraccia, la platea s'indigna, tra gli sbadigli". (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 8 novembre 2012)

"'La nave dolce' va visto. E in fretta. Parliamo di un'urgenza che viene da una necessità profonda, elementare, potente. Sotto l'aspetto materiale, perché e un documentario che - nonostante l'aiuto di Microcinema - potrebbe, proprio per la poca pazienza che gli esercenti hanno per questo genere, uscire fuori dalla programmazione con ingiusta velocità. Sotto l'aspetto artistico e morale, perché è impossibile non vederlo. Perché un'opera del genere deve far parte della nostra memoria artistica e del nostro immaginario, perché la nave Vlora, qui raccontata, è l'inizio della fine di un paese che fino ad allora ancora portava un vago rispetto per la sua storia, cultura e valori. (...) Da lì nasce l'Italia razzista ed egoista di questi ultimi 20 anni, da lì nasce l'Italia della gestione politica e violentemente repressiva dell'ordine pubblico e Vicari, di fatto, ne fa nella sua cinematografia una sorta di prequel di 'Diaz'. Non solo a livello creativo - il team delle due pellicole è lo stesso, straordinario il montatore Atria, ottimo il musicista Teardo - ma anche sotto il punto di vista storico e sociale. Pur nella differenza del genere e della struttura narrativa, ci troviamo di fronte a thriller straordinari per tempi e potenza del racconto. Vicari trova in questo dittico una maturazione eccezionale, che sembra riassumere tutta la sua cinematografia per portarla a un livello più alto di consapevolezza, dell'autore e dello spettatore. 'La nave dolce' dimostra come il documentario, in mano a un grande regista, diventi un film complesso, efficace e potente. E alla messa in scena del repertorio si aggiungono testimonianze antiretoriche e perciò ancora più forti. E solo un grande cineasta poteva tenere insieme questa storia omerica di moderna ingiustizia". (Boris Sollazzo, 'Pubblico', 8 novembre 2012)