Nonostante una partenza di carriera notevole con I soliti sospetti e vari tentativi più o meno di prestigio, il nome di Bryan Singer resterà per sempre legato al franchise degli X-Men che dopo il reboot con X-Men – L'inizio (diretto da Vaughn) lo ha visto tornare alla regia nel precedente Giorni di un futuro passato e nel nuovo Apocalisse. Ma il suo senso per gli X-Men stavolta deve aver girato a vuoto.

Quando dall'antico Egitto, En Sabah Nur – uno dei più potenti mutanti di sempre – viene risvegliato nel 1983 decide di riprendersi il potere che gli era stato tolto. Per farlo assolda alcuni mutanti tra cui Magneto. Ovviamente il dottor X e la sua squadra non staranno a guardare. Scritto da Simon Kinberg, X-Men: Apocalisse abbandona tutte le ambizioni che hanno spesso guidato i film della serie per gettarsi in un intrattenimento vecchio stile, per racconto e stile coerente con l'epoca storica in cui è ambientato.

Fatto salvo il passo indietro rispetto alle intenzioni, il divertissement non ha nulla di riprovevole in quanto tale, ma il film di Singer è stavolta cinematograficamente indifendibile: una bambocciata senza senso narrativo – con tutti i va e vieni di personaggi tra buoni e cattivo come fossero wrestler – e produttivo, in cui un presunto kolossal è realizzato al risparmio, con patina visiva involontariamente cheap ed evidenti tirate al risparmio (come dimostra la sequenza dedicata a Quicksilver, uguale a quella del film precedente ma realizzato come fosse una parodia stile Kung Fury).

Un passo falso imprevedibile in questa portata, in cui Singer non fa nemmeno il minimo sforzo per rendere lo spettacolo movimentato o visivamente appassionante, in cui tutto è statico e immobile, come nell'interminabile scontro finale con personaggi fermi su loro stessi per mezz'ora. Siamo dalle parti della dimenticata (e meno male) serie del Re Scorpione, in versione deluxe e senza un briciolo di umorismo. La resa definitiva di Singer a una carriera senza più sbocchi?