“Ognuno muore come può”. Julián (Darín), malato di cancro, ha deciso di smettere con le cure: preferisce viversi quel poco che gli resta al di fuori di un ospedale. L’amico di sempre, Tomás (Cámara), torna allora a sorpresa dal Canada a Madrid per trascorrere con lui qualche giorno prima che sia troppo tardi. Attore ancora in scena, divorziato e con un figlio universitario ad Amsterdam, Julián ha una sola preoccupazione: trovare qualcuno che possa adottare il suo secondo “figlio”, Truman, cagnolone da cui non si è mai separato.

L’amicizia oltre la morte: lo spagnolo Cesc Gay richiama a sé Ricardo Darín e Javier Cámara (splendidi entrambi) e dopo la coralità di Una pistola en cada mano si concentra sull’aspetto più intimo, e vero, di un rapporto destinato a non morire anche al di là della vita stessa.

Non è un caso che il film – scritto insieme al sodale Tomàs Aragay – debba il titolo all’unico personaggio silenzioso, il cane Troilo (morto qualche mese dopo le riprese), lascito terreno di un uomo che, in quei pochi giorni di spostamenti, pranzi, cene e viaggi improvvisati, avrà modo di riflettere ancor più in profondità sul senso dell’esistenza, sulla forza dei legami, sulla continuità delle “cose” oltre il termine materiale delle stesse.

La bravura degli autori e degli interpreti (5 premi Goya, gli Oscar spagnoli, per miglior film, regia, attore protagonista e non protagonista, sceneggiatura originale) è però nell’evitare qualsiasi stucchevole filosofia d’accatto, nel saper fuggire ogni trappola da ricatto emotivo, nel lasciar scivolare i dialoghi e i momenti, nell’approfittare dei giusti silenzi e dell’incredibile alchimia tra i due protagonisti, così lontani-così vicini da risultare per questo tremendamente veri, incarnazione di una sincerità leggera e commovente.

Ecco, è proprio nella levità di una commozione mai forzata che Truman cerca di accomodarsi, proprio come un affettuoso e docile cagnone che ti si accuccia accanto. Senza chiedere nulla in cambio, se non uno sguardo. O una carezza.