Che bel film, Trois souvenirs de ma jeunesse, in Italia I miei giorni più belli. Ci vuole un po’ per entrarci e orientarsi. Ma quando ci sei dentro non sai che fare (come diceva la canzone) se non ammirarlo. Quando ci sei dentro puoi solo lasciarti andare, seguire la corrente, farti portare dove è giusto andare.

1 – Nomi. Il protagonista si chiama Paul Dedalus. E il film è labirintico, con innumerevoli svolte, ritorni, avanzamenti, soprassalti, incroci, biforcazioni. Dedalus fa venire subito in mente Joyce e il suo Ritratto dell’artista da giovane (1916, l’edizione italiana dell’Adelphi si intitola proprio Dedalus), protagonista uno Stephen Dedalus semiautobiografico, come deve essere anche questo Paul Dedalus rispetto a Desplechin, con i suoi anni di formazione dedalica, con domande esperienze rimpianti fallimenti e passi e salti, a lato, all’indietro, in avanti.

2 – Libri. Oltre al Dedalus di Joyce, nel film vengono anche nominati Ulisse (“Il bell’Ulisse torna a Itaca”, gli dice una donna quando Paul torna in patria) e indirettamente il libro di Joyce, poi Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe, romanzo di avventure antartiche prossime al delirio, la poesia di Yeats Among School Children, L’interpretazione dei sogni di Freud in versione originale tedesca, Solgenitsin, Lenin, le opere di Platone nell’edizione critica delle Belles Lettres, i libri di Margaret Mead e di Claude Lévi-Strauss perche Paul Dedalus, da grande, è antropologo. E fin da piccolo è uno che legge molto.

3 – Tempo. Desplechin mette come titolo al suo film un innocente Tre ricordi della mia giovinezza. In realtà i ricordi sono molti di più, un’infinità, una marea di ricordi a ondate successive. Diviso in capitoli, il film parte dall’infanzia di Paul, passa al suo viaggio in Russia, a Minsk, all’incontro e alla lunga storia con Esther, fino al Paul uomo fatto (Mathieu Amalric).

Chi è Paul? Difficile dirlo e il film non vuole certo rispondere alla domanda. Paul è Paul ed è tanti Paul. Paul è, per esempio, Amalric che è passato da un film all’altro di Desplechin. Paul è l’antropologo che studia le culture lontane, quelle del Benin soprattutto e del Tagikistan: quando arriva all’aeroporto di Parigi viene portato in una stanza sotterranea verdastra dove è interrogato sulla sua identità da un agente della DGSE, Direction Générale de la Securité Extérieure, in un’atmosfera da guerra fredda e da film di spionaggio: perché Paul, come minimo, è doppio, visto che in quel viaggio scolastico in Russia ha dato il suo passaporto a un ebreo perché espatriasse in Israele.

4 – Vita. Paul è almeno tanti Paul quante sono state le varie epoche della sua vita. Trois souvenirs de ma jeunesse non è uno di quei biopic che prendono in carico la vita di un personaggio, la raccontano per filo e per segno, sostengono la linearità di un percorso e lo svolgersi di un filo senza strappi. Il viaggio di Dedalus/Ulisse è segmentato, mosso, abitato da incontri e scontri, è raccontato da Desplechin con intensità, scarti e sobbalzi da giocoliere. La vita non è un lungo fiume tranquillo.

5 – Amori. Esther è la ragazza che sa cos’è il vivere e dalla quale lui vuole imparare a vivere. Tormenti appassionati, lettere amorose, il muro di Berlino che cade, gli studi di antropologia dei popoli lontani con la meravigliosa professoressa nera Behanzin, nome di un re africano senza regno, eroe della resistenza anticoloniale. Amore è relazione, rapporto e sofferenza, gelosia e abbandono, ritorno e riunione e perdita. Paul ha tante cose da imparare in questa antropologia del vicino: della vicinissima Esther.

6 – Stile. Desplechin racconta con straordinaria vivacità. Sembra girare e danzare intorno a Paul e alla sua vita, non vuole soffocarlo in una andatura ritmata e uguale, corre e rallenta, si ferma e riparte. Paul vive in un vortice