Se la luce del faro a cui fa la guardia continua a splendere indomita fra le tempeste,  la coscienza del taciturno Tom Sherbourne (Michael Fassbender), veterano mai davvero tornato dalla Grande Guerra, si incrina quando dal mare giunge una barca alla deriva, contenente una misteriosa neonata. Sua moglie Isabel (Alicia Vikander), la quale non desidera altro che diventare mamma senza però riuscire a portare a termine alcuna gravidanza, non ha dubbi: l’arrivo della piccola è un dono celeste da accogliere e difendere con ogni mezzo. Ma per Tom fingere che quella figlia sia davvero sua (per quanto adori la bimba e voglia solo la felicità di Isabel) non è altro che l’ennesimo chiodo sulla bara dei suoi sensi di colpa. La scoperta che la piccola ha una madre (Rachel Weisz) lo obbliga scegliere fra la famiglia e la propria coscienza.

Derek Cianfrance ha già ampiamente dimostrato di amare il melodramma. Ha ragionato sulla dissoluzione del matrimonio (Blue Valentine, 2010) e riflettuto sulla circolarità del destino che lega padri e figli (Come un tuono, 2012) secondo l’estetica indie, però il nucleo pulsante dei suoi film precedenti si è sempre rifatto al melò: personaggi contro i quali si accanisce una sorte ambigua, un continuo rimpallo attimi di gioia e baratri di dolore, colpi di scena radicali e, ovviamente, il grande amore infelice che consuma, ma al quale non si può sfuggire perché, citando i Verve, “Love is noise, love is pain/Love is these blues that I’m singing again”. In The Light Between Oceans il sentimento è tanto quello coniugale (salvifico eppure lacerante se minato dall’incomprensione), quanto quello materno, che arriva a contrapporre due donne, entrambe visceralmente legate alla stessa bimba e disposte a tutto pur di poterla avere per sé. Il confine fra il sano desiderio e l’ossessione divorante di maternità è molto più ambiguo nell’omonimo romanzo di M.L. Stedman da cui è tratto il film, ma l’adattamento “addolcito” di Cianfrance (anche sceneggiatore) ha la sua logica nell’adesione (stavolta totale) a un genere ben preciso: il melodramma sentimentale, appunto. Il risultato è un romance in costume realizzato con perizia quasi calligrafica, costruito addosso a due interpreti sensibili dalla grande chimica (non scordiamoci che per Fassbender e Vikander, coppia anche nella vita, galeotto fu proprio questo set) e che punta apertamente all’effetto lacrima enfatizzando la bellezza degli ambienti e i tormenti dei protagonisti. Per goderlo bisogna quindi prima capirne l’ottica di base, abbracciando le regole di un filone ben codificato, e poi mettere da parte il cinismo, lasciandosi ammaliare dall’evocativa fotografia di Adam Arkapaw, nonché dalla musica avvolgente di Alexandre Desplat.