Nonostante il titolo si presti a facili elucubrazioni politiche, The Great Wall non è il primo fantasy dell'era Trump.

Il progetto semmai, concepito nel 2011, all'interno di un più vasto reticolo di sinergie sino-americane, sarebbe più come il colpo d'ala dell'era Obama. Ma anche questa lettura ci sembra sbagliata.

Di sicuro è un blockbuster da 150 milioni di dollari di budget, scritto da americani (Carlo Bernard, Doug Miro e Tony Gilroy hanno rimaneggiato un precedente script di Edward Zwick) ma diretto da un cinese (Zhang Yimou), girato interamente in Cina per impulso della Legendary East, il braccio asiatico di Legendary Pictures che, prima di passare al colosso con gli occhi a mandorla Wanda Media, era 100% yankee.

Cast & crew prevalentemente locali (tra gli interpreti figurano Zhang Hanyu e Jing Tian), ma la star è Matt Damon.

Una moderna miscela somatica e linguistica, che già rivela lo sbilanciamento nei rapporti di forza produttivi e creativi dalla parte cinese. Con buona pace di Trump.

Del resto, lo sterminato mercato asiatico è quello che Hollywood ha guardato più che ad ogni altro negli ultimi tempi, ed è la Cina ad oggi ad aver premiato il film, con un weekend di apertura da oltre 60 milioni di dollari registrata a gennaio (saliti poi a 170 milioni nel corso delle successive settimane), al cospetto dei 23 milioni incassati negli Stati Uniti: un mezzo fiasco.

D'altra parte il film è tagliato con l'accetta. Con il pretesto di raccontare qualcosa sulla Grande Muraglia Cinese (alla fine ne sapremo più o meno quello che ne sapevamo all'inizio), Zhang Yimou e il suo fedelissimo direttore della fotografia Zhao Xiaoding, rinverdiscono - si fa per dire - la tradizione del fanta wuxapian inzuppandola nel fragoroso brodo digitale della CG, tipica dei polpettoni hollywoodiani. Così, dal fascino delle armature, delle architetture e delle scenografie della Cina folklo-imperiale fuoriesce il rigagnolo figurativo e tematico di bestie aliene simili a rospi giganti, di assedi infiniti e di manzi briganti diventati eroi per caso, poderosamente mascellari, must dell'epica USA.

Per non dire che tutto il plot sembra un mega plagio del Signore degli anelli - Le due torri non fosse altro perché, assalti alla muraglia di un esercito di mostri a parte, non succede granché.

I personaggi non hanno fondo, non hanno storie da raccontare, non sono che figurine. E dire che oltre a Demon hanno richiamato pure Willem Dafoe, nel ruolo di un villain al cui confronto quello impersonato nello Spider-Man di Raimi aveva dignità scespiriana. Della compagnia di banditi venuti fino in Cina per razziare una miracolosa pietra fa parte anche il cileno Pedro Pascal, che quantomeno dà un tocco di gringos, sporcizia e spaghetti western all'operazione. Non è tutto da buttare: ci sono momenti di vero spasso (l'incipit, il primo assalto, il finale nella pagoda arcobaleno), di autentico edonismo visivo, e l'affondo per cui ad avidi occidentali serva la rieducazione cinese suscita simpatia, ma vengono surclassati da tanti e tali errori di montaggio, da una serie inenarrabile di grossolanità narrative e di altre sciatterie formali francamente inaccettabili a questi livelli.

Spesso la scena risulta più caotica che spettacolare, penalizzata dal solito 3D opacizzante che rende tutti più orbi.

E poi Matt Damon e Jing Tian non si danno neanche un bacetto.