L’eclettico Alex Infascelli (Almost Blue, S Is For Stanley) rilegge Piccoli crimini coniugali di Eric - Emmanuel Schmitt mantenendone inalterata la cifra letteraria e teatrale.

All’interno di un tipico, sontuoso, interno borghese il film mette in scena la madre di tutte le guerre, quella di coppia.

I personaggi di Margherita Buy e Sergio Castellitto sono sposati da diversi anni. Lui ha avuto un brutto incidente domestico, dopo il quale ha perso la memoria. Non sa più chi è, non riconosce la donna che gli sta accanto. Tornano a casa insieme, lui appena dimesso dall’ospedale. Si guarda attorno. Attraversa il lungo corridoio, apre una porta, poi un’altra.

Osserva: oggetti dimenticati sulle mensole, foto incorniciate, foto appese a muro, libri, moltissimi, sugli scaffali. Gran parte suoi. Ecco cos’è: uno scrittore. Di gialli. Il caso che gli tocca risolvere adesso è il suo. La moglie sembra disposta a guidarlo nel labirinto del passato, solo che si contraddice e lui non sembra disposto a fidarsi troppo.

Tra bugie, mezze verità e colpi di scena, Infascelli orchestra un gioco al massacro di crescente drammaticità, in cui i dissapori di una vita, le piccole vigliaccate quotidiane, i rancori mai sopiti e ammassati negli anni, danno vita a uno fuoco di fila eminentemente verbale, una raffica di sottolineature, frecciatine (“Non sei mai stato carente d’affetto nei tuoi confronti”), frasi ad effetto (“La coerenza è il mantra dei senza palle”).

Parole, parole, parole: non sappiamo far altro, dice lei. E in effetti tutto si esaurisce così, a parole, senza conseguenze serie. La coppia vivrà, felice e scontenta.

Recuperando la lezione del cinema borghese da camera (poco frequentato per la verità dai nostri registi), Infascelli fa del matrimonio la metafora di una società immobile, infertile e senza memoria, votata alla polemica (sterile anche questa), vanitosa e condannata all’artificio. Un film piccolo ma di grande ambizione, che sconta forse il linguaggio un po’ demodé e un certo compiacimento recitativo.