È sempre stato un duro compito quello di provare a raccontare il calcio attraverso il cinema. Di conseguenza, riuscire nell’affresco sulla (formazione) della più grande leggenda calcistica mai esistita è esercizio forse ancora più arduo. Non sfugge alla tradizione il biopic scritto e diretto dai giovani Jeffrey e Michael Zimbalist, già autori di alcuni documentari sul Brasile come Favela Rising. E partono proprio dalle polverose stradine di Bauru per raccontarci l’infanzia di Edson Arantes do Nascimento, soprannominato Dico, solamente anni più tardi universalmente noto come Pelé.

Gli amichetti di strada, il pallone di stracci, il primo torneo dove – a nove anni – viene notato dal leggendario Waldemar de Brito (cosa che in realtà avvenne più avanti) che, qualche anno più tardi, lo portò nelle giovanili del Santos. L’arrivo in prima squadra avviene solo dopo una stagione, il ragazzo ha sedici anni. Ed è il capocannoniere del campionato Paulista. Nel ’58, infine, la definitiva consacrazione, ai mondiali di Svezia. Convocato dal ct Feola (Vincent D’Onofrio), Pelé disputa la prima partita contro l'URSS nella fase a gironi. Era il più giovane del torneo e il più giovane ad aver mai giocato una partita della fase finale della Coppa Rimet. Il primo goal arriva il 19 giugno contro il Galles. Ma è nella semifinale contro la Francia, il 24 giugno, che il mondo si accorgerà definitivamente di lui: tripletta e risultato finale di 5-2. In finale, contro la favoritissima Svezia di Liedholm e Hamrin, il Brasile vince con un altro 5-2, con doppietta di Pelé. Che, ancora oggi, detiene il record di marcatore più giovane della storia del torneo (17 anni e 239 giorni), oltre ad essere ancora oggi l’unico giocatore ad aver vinto tre Mondiali: 1958, 1962, 1970.

Pelé

 

Superata (con difficoltà) l’impasse iniziale di sentir parlare in inglese bambini e abitanti delle favelas, proviamo ad entrare nella storia di questo ragazzino che, già a nove anni, scorrazza per le stradine del quartiere palleggiando in ogni modo possibile e immaginabile insieme ai compari neanche fossimo in uno degli spot più improbabili della Nike anni ’90. Capiremo poco più avanti che il nocciolo della questione è proprio quello relativo alla ginga, l’elemento chiave alla base della vera anima del calcio brasileiro: accusata di aver perso per quel motivo la dolorosissima finale del 1950 del “Maracanazo” contro l’Uruguay, oltre alla fallimentare spedizione in Svizzera del ’54, la Seleçao del 1958 era chiamata a dimostrare di saper giocare al calcio “appiattendosi” sui dogmi e i pragmatismi delle ben più disciplinate compagini europee. Ma uno come Pelé avrebbe dimostrato che l’unico modo per essere più forti sarebbe stato quello di esaltare le proprie caratteristiche, non tentare tristi emulazioni di qualcosa che ai verde-oro non sarebbe mai appartenuto.

Peccato però, che anche qui, il film quasi ridicolizzi aspetti come il 4-2-4 studiato da Feola per far coesistere Didì, Vavà, Pelè e Garrincha, mostrando dapprima una squadra incapace di fare due passaggi di seguito, poi esaltandone aspetti à la globetrotter, funambolismi degni dei migliori freestyler capaci di arrivare in porta solo attraverso impossibili tricks, francamente poco credibili in una finale mondiale. Poi certo, per carità, solo il genio calcistico di uno come Pelé poteva tirar fuori dal cilindro quello stop di petto su cross da sinistra, sombrero ad un avversario e tiro imparabile sull’angolino basso: tutto al volo, senza mai far cadere la palla a terra. Ma non serviva un film così finto a ricordarcelo. Film capace anche di inventare di sana pianta un’atavica rivalità tra Altafini e Pelé, nata addirittura negli anni d’infanzia, con la madre della futura “perla nera” umile serva in casa del primo. Che in realtà era di poverissime origini anche lui, cresciuto poi a 300 chilometri di distanza da Bauru. Ma, si sa, la finzione a volte non conosce vergogna. E per rendersi più “autentica” prova ad infilare il vero Pelé in una scena dove – nella hall di un albergo – sembra dare la propria benedizione al suo più giovane alter ego.