“La semplificazione è la vostra specialità” dice ironicamente un personaggio a Paul Vecchiali, attore e regista di Le cancre, film presentato fuori concorso a Cannes 2016. Ma al contrario di ciò che afferma il personaggio, l’87enne regista - alla prima selezione ufficiale sulla Croisette - non vuole semplificare, né ridurre gli elementi del suo cinema. Al contrario: su una base lineare, Vecchiali lavora di arricchimenti.

Il film lo vede protagonista nel ruolo di un vecchio che ha un’ossessione: trovare il suo amore di gioventù prima di morire. Per farlo, contatterà a ritroso tutte le donne della sua vita e nel frattempo dovrà anche fari conti con un figlio a cui ha spesso tarpato le ali con la sua personalità. Scritto dallo stesso regista, Le cancre è una commedia memoriale, di sentimenti sensuali e familiari, ma che come un album di ricordi si riempie di continue digressioni, riflessioni estranee, aperture apparentemente estemporanee.

Su una base narrativa che infatti potrebbe essere eredità del cinema di Truffaut o del Rivette senile, Vecchiali mette in piedi soprattutto uno straniante ritratto intimo, tanto autobiografico quanto più nega di esserlo, del rapporto tra padre e figlio, in cui i quadretti con le donne, amanti ufficiali e ufficiose di una vita, servono più per raccontare il modo in cui il personaggio ama che l’evoluzione del suo amore. Più che nel romanticismo ironico, Le cancre trova il suo valore nel ritratto di un’incomunicabilità affettiva e filiale piena di tenerezza e rabbie represse.

E’ nei duetti ora comici, ora scostanti, ora distaccati tra Vecchiali e Pascal Cervo che il film mostra tracce di intimità poetica, più che nel compiacimento e nella distanza ironica con cui racconta amore e vecchiaia (da segnalare però una canzone con cui Vecchiali dedica il film a Jacques Demy), fattori da sempre distintivi del cinema fuori da schemi e circuiti del nostro, ma che qui non riescono ad andare a segno.