Si può negare l’esistenza dell’Olocausto? Oggi sarebbe una follia, eppure alcuni sembrano non volerci credere. Si parla di eminenti studiosi, illustri letterati, che hanno dedicato un’intera esistenza a salvare l’onore di Adolf Hitler. Le deportazioni sono solo menzogne, figlie di una cospirazione mondiale ideata dagli ebrei: tali parole non si possono leggere, e neanche ascoltare. Ma a settant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, le bufale salgono ancora in cattedra, e bisogna lottare per non cancellare la tragedia.

Un elogio e tanta riconoscenza vanno perciò a Deborah Lipstadt, professoressa di studi ebraici moderni e dell’Olocausto all’università di Atlanta, che non si è tirata indietro dopo una pesante accusa di diffamazione. In seguito alla pubblicazione di Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory, David Irving, il più cocciuto negazionista britannico, l’ha trascinata in tribunale: non accettava le condanne della Lipstadt sul suo lavoro, e al processo ha deciso di difendersi da solo, per una malsana necessità di mettersi in mostra. Il verdetto è consegnato alla Storia, e ancora una volta l’ignoranza non ha trovato un terreno fertile per mettere radici.

Il regista Mick Jackson mancava dal grande schermo da quattordici anni. Si era dedicato alla televisione, e con il film tv Temple Grandin – Una donna straordinaria ha convinto pubblico e critica. Tutti lo ricordiamo per aver diretto Kevin Costner in The Bodyguard, con la bella Whitney Houston in pericolo e una colonna sonora da favola. Era il 1992, e il grande successo bussava alla porta. Ma i tempi sono cambiati e purtroppo la mano di Jackson si è infiacchita.

La verità negata è un film con una storia solida alle spalle ma con un andamento un po’ piatto e prevedibile. L’indignazione sostiene i primi quaranta minuti, poi il racconto s’indebolisce, e un tema di forte impatto si perde tra arringhe convenzionali e dialoghi artificiosi. La Lipstadt, interpretata da Rachel Weisz, è l’unico personaggio che mostra qualche turbamento, mentre gli avvocati si muovono in tribunale come macchine bloccate nel traffico.

Timothy Spall, David Irving nel film, non riesce a impressionare, e con la sua aria corrucciata non suscita lo sdegno che dovrebbe. Forse l’intenzione del regista era di mantenere un certo equilibrio, per non schierarsi a priori e costringere lo spettatore ad aprire la mente. Ma il risultato è un legal movie che non aggiunge niente al genere. Si rimane frastornati dagli articoli dei codici, e il dolore di una tragedia senza pari finisce per  fare da cornice.

C’era l’occasione per un dramma potente, ma La verità negata non segue le orme dello Schindler’s List di Steven Spielberg, e si dimentica del patos che creava Paul Newman ne Il verdetto. In tribunale si difendono i diritti della Storia, ma al cinema dovrebbe regnare sovrana soltanto l’emozione.