Napoli, centro, professionisti e palazzi antichi. Un avvocato di fama e altri sentori, Lorenzo (Renato Carpentieri), ritirato e autorecluso: due figli – una, Elena, è Giovanna Mezzogiorno – che non ama, un nipotino Francesco che sottrae alla scuola per educarlo da sé, una moglie defunta e altre truffe inferte a sé e agli altri. Qualcosa, forse, sta per cambiare: nell’appartamento di fronte al suo, arrivano l’ingegnere navale Fabio (Elio Germano), la moglie Michela (Micaela Ramazzotti) e i due figli ancora bambini. Tra Lorenzo e Michela l’affinità si fa strada, malgrado tutto: cene, cura dei piccoli, complicità. Ma la tragedia è dietro l’angolo.

La tenerezza, bella parola oggi scambiata per (“fa tenerezza”) pena o scippata agli umani dagli animali, è il nuovo film di Gianni Amelio. E’ tutto fuorché perfetto, ma cresce dentro, e a distanza di giorni dalla visione non se ne va. Ci sono didascalismi evitabilissimi, involuzioni e secche di sceneggiatura, ma anche tante buone cose: innanzitutto, è un film novecentesco, ideologico, non (pensiero) debole, financo massimalista.

Cinema che non ha paura di dire qualcosa, qualcosa di importante, perché sa come dirlo: potere all’immagine, oltre che al dialogo. Cinema che si fa vedere mentre ci guarda. Prezioso.

Dopo l’infortunio de L’intrepido (2013), Amelio è tornato a quel che sa fare meglio, ovvero inquadrare sentimenti, sensazioni e relazioni nel loro farsi persona e disfare rapporti. A Napoli, nella vecchiaia non doma e colpevole di Lorenzo, nel navigare a vista di Elena, nel sopravvivere di Lorenzo e Michela Amelio scruta, costruisce e distrugge il nostro qui e ora, somma sbagli e sottrae intenzioni, moltiplica le paure e divide le coppie, ogni coppia possibile.

E’, in fondo, cinema di resistenza, che coglie debolezze senza elusioni né elisioni. E che sa anche stupire: la violenza cieca e intestina che scoppia e travolge è inquadrata con sapienza action, ansia thriller, voltaggio apocalittico. Piove sul bagnato, e quel bagnato siamo noi.

Grande, e totalizzante, prova di Carpentieri, dominus del film a scapito di quel che la locandina lascia intendere, prove solide di contorno di Germano, Mezzogiorno, Greta Scacchi (la madre di Fabio) e, un po’ meno, Ramazzotti, 103 minuti accorciabili, tensione umanista non sopprimibile, La tenerezza è un film coraggioso, forse necessario, di certo più forte dei suoi errori.